Lei aveva sporto denuncia, ma a lui avevano restituito la pistola perché non ritenuto pericoloso: l’uomo, allora, uccide l’ex moglie con 7 colpi di pistola. Sembra un incubo, una storia grottesca, eppure è successo davvero.
Era il 2008, sembra passata una vita, ma certe storie non devono essere dimenticate, perché l’oblio favorisce il loro terribile ripetersi. 12 anni fa, invece, le cronache dimenticarono molto presto questo terribile omicidio, tant’è che sul web non c’è molto materiale in merito, se non qualche parola sull’epilogo: processo con rito abbreviato, conclusosi con una condanna a 18 anni per omicidio e tentato omicidio.
Ma facciamo un passo indietro nel tempo. Elisa Beatrice Rattazzi aveva conosciuto Raffaele Cesarano circa dieci anni prima. Era nata una storia d’amore, ma a quanto pare sin da subito più che amore si trattava di burrasca. Fra scenate reciproche di gelosia, continui litigi e instabili riconciliazioni, i due arrivano al matrimonio perché in attesa di una bimba, la loro bimba. Le nozze, invece di rasserenare il rapporto, lo complicano in modo ancora più grave.
Raffaele ha una dipendenza: il gioco. Con tutte le conseguenze che da essa derivano. Elisa invece scivola pian piano in uno stato depressivo che la inchioda a casa, spesso a letto. Non ha l’energia per fare nulla, se non bruciare una sigaretta dietro l’altra. Il marito la accusa di indolenza e, completamente insensibile alla depressione della moglie, la sgrida e picchia per qualsiasi cosa. Fino al punto in cui, a detta di chi frequentava quella casa, le botte non diventano fortissime e decisamente più delle parole.
Entra in gioco un terzo elemento, un amico della coppia: Giuseppe Cardella, giovane operaio. Questi comincia a frequentare sempre più spesso la casa di Elisa e Raffaele. Forse c’è qualcosa fra Elisa e Giuseppe, o forse no. In ogni caso, un giorno Raffaele, furioso di gelosia per i suoi sospetti, picchia la moglie così forte da indurla a implorare la morte. Voleva che lui le sparasse in testa, con la sua pistola di guardia giurata. Arrivano i carabinieri e gli sequestrano l’arma.
Arrivano alla separazione e cominciano a preparare il terreno per il venturo divorzio. Non vivono più insieme, si dividono il tempo con i figli, cominciano a organizzare la loro vita futura l’uno senza l’altra. Ma Raffaele non si rassegna e tempesta la moglie di messaggi appassionati. A questi, però, fanno ombra i suoi tarli di gelosia nei confronti dell’amico Giuseppe. Raffaele è paranoico e ossessivo. Nel frattempo, la Procura gli restituisce l’arma: il trentacinquenne non è ritenuto pericoloso.
Il 20 maggio 2008, in una sorta di tribunale improvvisato per strada, a Barriera di Milano, due coppie di amici si incontrano per chiarirsi: Elisa e Raffaele, con Giuseppe e la moglie. Si pretende la confessione dei due amanti. Giuseppe nega. Elisa, invece, esplode e grida che era successo davvero. Il tribunale, allora, diventa luogo di esecuzione: con la pistola per cui era stato ritenuto “non pericoloso”, Raffaele uccide la moglie e ferisce gravemente l’amico. Una sparatoria in pieno giorno, all’aperto, sotto gli occhi di tutti. Raffaele si consegna subito ai carabinieri.
Ciò che fa molto male ancora oggi, motivo per cui certe storie non vanno mai dimenticate, è che nella sentenza e durante il processo e anche dopo, non una sola parola su quella pistola restituita, su quelle parole che ora suonano di beffa: non pericoloso.