Lo psicanalista Massimo Recalcati fa una riflessione sulla riapertura delle scuole.
“La Scuola ha saputo restare aperta anche in un tempo nel quale l’emergenza sanitaria imponeva la sua chiusura” scrive su La Repubblica.
“Ma adesso che la Scuola riapre anche fattualmente e i nostri figli tornano ad occupare i loro posti in aula assistiamo ad uno “strano” fenomeno. Predomina un senso profondo di precarietà (tra quanto torneranno a chiuderla?) e di depressione diffusa (studiare per cosa?). Come ripristinare la prossimità e la relazione se la prossimità e la relazione sono state (e, tra l’altro, tali ancora restano) fattori di rischio di contagio?” continua.
“Molti ragazzi non vogliono tornare a Scuola e se tornano lo fanno trascinando con se stessi una profonda inquietudine. Come abbandonare una prigione che è divenuta il proprio rifugio? Riaprire i propri confini esterni ed interni non è una cosa semplice” prosegue.
“Non ha alcun senso bombardare di verifiche i nostri figli quando questo anno scolastico, come quello precedente, è stato ed è ancora appeso ad un filo, quando chiusura e riapertura si sono alternate seguendo necessariamente il ritmo imprevedibile e destabilizzante dell’epidemia. Sta accadendo lo stesso in tutte le organizzazioni: la ricostruzione del tessuto relazionale è diventata la condizione basica per rendere possibile una ripartenza della stessa attività produttiva” aggiunge.
Poi: “Nessun tempo come il nostro ci ha insegnato che la relazione in qualunque organizzazione – Scuola compresa – non è un ornamento secondario rispetto al raggiungimento dei propri obbiettivi, ma la sua condizione di possibilità. Dunque, i docenti non farebbero torto alla loro professione se subordinassero la programmazione didattica al recupero del valore umano della relazione. È un mio accorato appello che rivolgo a loro e ai dirigenti scolastici: subordinate, vi prego, il rispetto dei programmi alla cura della relazione perché la didattica senza relazione non può esistere“.
“Il presidente del Consiglio ha annunciato giustamente la necessità per il nostro Paese di percorrere la strada del debito. Non bombardate, vi prego, i nostri ragazzi con verifiche a tappeto nel nome di un compimento formale dei programmi didattici. Quello che stanno vivendo non è un tempo perso, ma un tempo che potrebbe essere dedicato a ritessere i legami che costituiscono la vita comunitaria della Scuola; fare crescere lavori di gruppo” conclude.