Renzo Piano, celebre architetto genovese e senatore a vita, era in una riunione al Cern di Ginevra quando gli è arrivata la notizia.
“Al di là del legame sentimentale con Genova ho provato una grande sofferenza, di quelle che arrivano all’improvviso e ti sconvolgono. A me prendono allo stomaco. Ho pensato subito alle vittime, e solo dopo alla mia città ferita, a Genova e alle sue catastrofi e a tutte quelle persone che si trovavano lì” racconta in una intervista rilasciata a Repubblica.
Continua poi esternando il suo pensiero da professionista su quanto accaduto “Nessuno venga a dirci che è stata una fatalità. All’opposto della fatalità c’è la scienza. L’Italia è un paese di grandi costruttori, progettisti geniali, scienziati e umanisti. E però non applicano quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica. In medicina nessuno fa niente senza una diagnosi. I ponti, le case e tutte le costruzioni vanno trattati come corpi viventi. In Italia produciamo apparecchiature diagnostiche sofisticatissime e strumentazioni d’avanguardia che esportiamo in tutto il mondo. Ma non li usiamo sulle nostre costruzioni“.
È serafico Renzo Piano, senza mezzi termini espone il suo auspicio: “Io spero che il maledetto crollo di questo ponte ci faccia riflettere e ci faccia uscire dall’oscurantismo culturale del ‘secondo me si fa così’. Per esempio con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo, proprio come avviene con il corpo umano: si comincia col misurare le temperature delle sue varie parti” […] “Io credo che la manutenzione non sia mai mancata. Quel ponte l’ho sempre visto sotto controllo. Ma Genova è una città fragile, divisa in due, ed è lunga 20 chilometri. Il ponte è stato sollecitato all’inverosimile“.
Concludendo l’intervista, riconosce che ora è il momento del cordoglio e del lutto; tante da domani le cose da fare e realizzare per trovare le giuste soluzioni per un’arteria oggi spezzata in due.