La Repubblica voluta dai Padri Costituenti e, a parere di chi scrive, confermata dal Popolo Italiano con il Referendum Costituzionale del quattro dicembre scorso, non si è limitata ad affermare l’affascinante principio sancito in altre democrazie del mondo (l’uomo ha il diritto di essere felice).
Il nostro Stato garantisce a ciascuna persona l’esercizio delle libertà e delle uguaglianze e si impegna a rimuovere gli ostacoli che potrebbero concretamente limitarle (art. 3 C.).
Si sancisce il principio delle pari opportunità, che si fonda sul diritto all’istruzione di tutti e di ciascun individuo. L’istruzione riduce le differenze e favorisce la partecipazione attiva alla crescita materiale ed economica della Nazione (art. 4 C.), rispettando le caratteristiche di ognuno. Promuove il godimento delle libertà economiche (art. 41 C.).
La scuola rappresenta il fulcro della società civile e non deve sostituirsi alla famiglia (intesa come nucleo sociale). Ha funzioni complesse, a cui si demandano le sorti della crescita e degli equilibri sociali. E’ una scuola viva, ricca ed a sostegno delle persone e genitori, che sono obbligati e sopratutto titolari del diritto originario dell’istruzione della prole (art. 30 C.).
L’Istituzione e la famiglia dovrebbero partecipare assieme alla crescita armonica della personalità dei bambini, ragazzi ed adolescenti, ognuno per l’interesse e lo scopo che gli viene affidato dalla Costituzione e prim’ancora dal diritto naturale.
L’eterogeneità delle famiglie rischia di mettere in crisi le buone intenzioni delle istituzioni e rende il loro lavoro sempre più difficoltoso e sempre più complesso. Ad una scuola tradizionalmente selettiva si è sostituita una scuola interventista e solutrice di problematiche interiori dei ragazzi, perché attraverso di esse passa l’efficacia e l’efficienza dell’azione educativa.
Il tessuto economico e sociale italiano ha subìto e subisce cambiamenti continuamente. La famiglia tradizionale, basata sulla solidarietà e sulla fedeltà coniugale, pare sia andata in crisi.
I bisogni lavorativi dei genitori e l’antagonismo tra i sessi rende incomprensibili le relazioni tra loro e, spesso, i bisogni sono conflittuali. Le difficoltà economiche sono, talvolta, tali da rendere poco vivibile e confortevole l’ambiente familiare ed i genitori vorrebbero che la scuola dia delle risposte educative alla prole senza sostituirsi ad essi e nello stesso tempo vorrebbero che fosse la loro sostituta.
Non c’è solo la divergenza culturale, intesa come sintesi dei valori fondanti ed espressione del vivere civile, tra le famiglie e tra gli studenti. La diversità è forte e potrebbe essere altrettanto corposa la ricchezza se si riuscisse a proporre modelli di equilibrio e di solidarietà reciproca, che non trovano adeguata risposta nell’ integrazione proponibile dalla scuola.
Emergono difficoltà che non hanno risposte semplici, come lo erano nel passato (selezione e abnegazione delle pari opportunità). Per esaltare e riconoscere la capacità di essere persona attiva e pensante di ogni studente, dal concetto del “Mi sono spiegato” si è passati, lentamente, ma progressivamente, alla scuola dell’ “Avete capito”.
Il metodo della ricerca e il metodo del saper usare le conoscenze per risolvere problemi in ambiti applicativi non conosciuti e non conoscibili, richiede la capacità di imparare dal comprendere (auto apprendimento – apprendimento per tutto l’arco della vita; alfabetizzazione culturale-). Cioè, si tende a formare e sviluppare la capacità di saper capire anche da informazioni non complete e non trasmesse direttamente, perché potrebbero non essere trasmissibili in quanto non conosciute ancora.
Tale complessità fa sì che non può demandarsi alla sola famiglia il compito di educare ed istruire i figli, benché sia titolare di questo compito. La famiglia va sostenuta in un rapporto di collaborazione con la scuola, ove è possibile. Quando non è possibile ci si trova spesso con ragazzi che vengono definiti (impropriamente) “difficili”.
La difficoltà non è tanto nei ragazzi. Essa risiede nella sfiducia che hanno della vita e alla quale vanno educati, al meglio, perché possano viverla. Per svolgere questo delicato compito la scuola deve avere una struttura interna democratica con organi dai poteri e funzioni equilibrate e di un dirigente che sappia stimolare e non imporre una condotta.
Lo studente “difficile”, che difficile non è, non va escluso da alcuna attività di apprendimento (perché non debba mai subire l’umiliazione di essere diverso -ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, dicono i fisici-): va integrato e “riempito” di fiducia. Più il ragazzo è debole più va rinforzato e sostenuto perché possa godere dei diritti umani e costituzionali: pari opportunità.
Bartolomeo Merola, insegnante