È un lunedì mattina come tanti, uno dei soliti lunedì in cui un insegnate come tanti inizia una settimana come tante, che si susseguono sempre uguali e sempre con le stesse modalità. Spesso si parla degli alunni che mal sopportano le lunghe ore di lezione, ma non sono i soli ad accusare questo malessere. Ci sono molti insegnanti che accusano ormai da tempo la stanchezza di una professione che ormai non riesce più a stimolarli. Si sentono frustrati ma anche perseguitati e, in questo caso, hanno la responsabilità i dirigenti e le famiglie degli studenti.
Ma quando è iniziato precisamente questo malessere della categoria? Spesso si parla di questa situazione, ma difficilmente la si riesce a collocare nel giusto quadro temporale. Probabilmente la trasformazione del docente è avvenuta nell’arco di pochi anni a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. La professione del docente era considerata prestigiosa ma iniziava gradualmente a trasformarsi in un impiego statale come tanti altri, desiderabile solo perché era assicurato il “posto fisso”.
Negli anni Settanta la parola del docente era sacra e indiscutibile. Il voto e le bocciature venivano accettate senza discussioni, i colloqui erano solo brevi messaggi che i docenti riferivano alle famiglie le quali li accettavano in silenzio e devozione. Ora è tutto cambiato.
L’insegnante deve giustificare e spiegare qualsiasi cosa, soprattutto ai colloqui. La sua parola ora è al centro di un continuo dibattito, quasi non fosse più in grado di prendere una decisione o di svolgere in autonomia il proprio lavoro. Il “potere assoluto” del docente è ormai scomparso e la categoria non è stata preparata in maniera adeguata riguardo questo cambiamento importante. È naturale quindi una conseguente frustrazione se il loro operato viene continuamente messo in discussione.
Un tempo il ruolo di docente era considerato importante perché la scuola era l’unica fonte in cui il sapere poteva venir trasmesso e l’insegnante era l’unico portavoce. Ormai non è più così e quindi la categoria deve fare i conti con la dura realtà. I ragazzi in classe non prestano più la dovuta attenzione perché sanno benissimo che le parole dette dall’insegnante possono essere ritrovate in maniera celere sul web. Questa modalità di ricerca delle informazioni è disarticolata e si contrappone al processo di insegnamento classico che è ordinato e sistematico.
Questo cambiamento può piacere o no, ma è un dato di fatto che è accaduto e non si può far più nulla per cambiare la tendenza, è necessario solo adeguarsi al cambiamento. Un tempo, se non si conosceva la risposta ad un quesito si ricorreva ai libri o agli insegnanti e quest’ultimi venivano ascoltati e rispettati, ritenendoli come una fonte di conoscenza.
Non si potranno cambiare i tempi, ma è possibile cambiare i docenti. La soddisfazione può essere di nuovo recuperata e con questa anche il prestigio dell’insegnamento. Il docente ormai non può competere con la multimedialità, ma può trovare il modo di usarla a suo vantaggio per proseguire la sua “missione” di trasmissione del sapere.
Si dimostra quindi necessario rovesciare la struttura delle lezioni eliminando la canonica lezione frontale e trasformare la classe in una comunità di discussione e confronto. Il docente quindi non rappresenterà più colui con le risposte, ma sarà fonte di problemi ai quali dovranno rispondere gli alunni che cercheranno di volta in volta le possibili risposte, ritrovando quindi uno stimolo nuovo sia per gli studenti che per gli insegnanti, che potranno di nuovo ottenere il prestigio ormai perduto della categoria, entrando nel vivo delle discussioni in classe e aiutando i ragazzi nel loro processo di apprendimento in maniera sempre nuova ma comunque efficace. La felicità verrà ritrovata da entrambe le parti.