È da mesi uno dei cavalli di battaglia del governo: da settembre circa 70mila insegnanti precari saranno assunti a tempo indeterminato.
Fin qui tutto liscio.
I problemi sono sorti quando ci si è resi conto che moltissimi di questi insegnanti sarebbero stati assunti per lo più lontani da casa. La gran parte dei precari, infatti, è residente al Sud, mentre i posti liberi nelle scuole sono per lo più al Nord; da qui le polemiche relative al fatto che molti precari, spesso donne tra i 40 e i 50 anni, sono impossibilitate a lasciare la famiglia e trasferirsi, pur con la prospettiva di un posto fisso.
Questo il quadro.
Ora, per prima cosa credo sia giusto restituire dignità alle parole e al loro significato.
Si è parlato di “deportazione” riferendosi all’esodo di insegnanti da Sud a Nord che sarebbe causato dalla riforma. Deportazione ha un significato preciso che, per rispetto dell’uso che se fa nei libri di storia, non può essere accostato a problemi come questo. Il problema, per altro, è più vasto e riguarda in generale il gergo politico, che negli ultimi anni, tra Renzi, 5stelle e Lega, sa essere solo calcistico o anti-storico.
Quando infatti non si usano metafore pallonare, si sente parlare di colpi di stato, dittature, nazismo, persecuzioni, invasioni, e ora deportazioni, totalmente a sproposito. Siccome i politici devono raccogliere voti, consentiamoglielo pure, ma gli insegnanti evitino di abbassarsi al loro livello. Ve lo chiedo da studente.
Detto questo, ritengo che l’unico errore riguardo la Riforma sia stato quella di interpretarla (o forse, venderla) come una bacchetta magica. La riforma scolastica non è una bacchetta magica.
Non lo è, perché semplicemente le bacchette magiche non esistono. Non risolverà il problema del precariato, perché se fosse stato così semplice si sarebbe fatto prima. Nel mettere una grossa toppa, come fa, la Riforma segue però un concetto giusto: gli insegnanti vengono mandati dove serve.
Se ne ha le orecchie piene di sentire degli sprechi del Sud, delle siringhe che costano quattro volte quelle del Nord, dei corpi di polizia che hanno il triplo degli assunti e così via. Se la mole di precari al Sud è ingente e non ci sono posti per accoglierli vicino casa, l’unica soluzione è quella.
Certo, in molti saranno in difficoltà ad accettare e preferiranno il precariato e la famiglia, piuttosto che un posto fisso e la lontananza, ma appunto, bacchette magiche non ce n’è. Piuttosto, questa è l’ennesima occasione per constatare come il lavoro dell’insegnante sia pagato una miseria.
Pensate a chi decide di accettare un posto a 500 km da casa. Dovrà pagare un affitto, dovrà mantenersi e dovrà pagare i viaggi per tornare a casa, presumibilmente una o due volte a settimana. Prendete lo stipendio medio di un insegnante e toglieteci queste spese.
Allora, vale la pena accettare il posto fisso? Per una pensione che, se arriverà, varrà una miseria?
Il coraggio degli insegnanti merita di più.
Salve
Il ministro dell’istruzione, prima di attuare questo piano straordinario di assunzione di mobilità , doveva garantire ad ogni insegnante vitto e alloggio gratuito , come fa un insegnante con un misero stipendio a pagare l’affitto e le spese di viaggio per andare a trovare i suo cari al sud ?