“Se io ho una mela e tu hai una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee“. (George Bernard Shaw)
Ho sempre pensato, anzi direi che sono sempre stata fortemente convinta, che la condivisione giocasse un ruolo fondamentale in qualsiasi campo lavorativo, a maggior ragione per noi educatori la parola chiave dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere condivisione.
È sempre così? Purtroppo no.
Se ricerchiamo l’etimologia e la definizione puramente lessicale di questa preziosa parola, ci rendiamo conto non solo della bellezza, ma anche della complessità e del valore del suo significato. Il termine “condividere” è infatti l’unione di due parole: “con” e “dividere” cioè “possedere insieme, partecipare insieme; offrire del proprio ad altri”.
Ecco, questo penso sia il significato che più di ogni altro ci fa comprendere la grandezza di questa parola: “offrire del proprio ad altri”.
Negli ultimi tempi mi capita spesso di confrontarmi con diversi docenti, alcuni dei quali li conosco solo virtualmente. Molti di loro mi chiedono consigli su metodologie che utilizzo nella mia prassi didattica, altri espongono le proprie perplessità in merito a situazioni che riscontrano quotidianamente, altri ancora sono lieti di farmi conoscere come essi stessi svolgono le proprie attività didattiche, chiedendo pareri o anche semplicemente per la gioia di farlo. In quest’ottica di condivisione, c’è sicuramente una crescita reciproca.
Giorni fa mi sono recata ad un seminario di formazione. Ho portato la mia esperienza riguardante una metodologia che uso quotidianamente in classe con i miei alunni: il learning by doing, cioè il gioco come strumento per l’acquisizione delle competenze. Ho condiviso con i docenti presenti la mia strategia didattica, partendo dal presupposto che il mio era solo un intervento volto alla socializzazione di una tecnica che nella mia classe e con i miei alunni ha dato molti risultati positivi. Ho partecipato ai colleghi questa idea, che essi hanno fatto propria, modificandola secondo le proprie esigenze e i propri bisogni. Da questa idea ne sono venute fuori altre, prima due, poi cinque, poi dieci, poi cento. Come il seme che gettato in un campo germoglia e dà i suoi frutti.
Ecco, la condivisione dovrebbe essere proprio questa: un seme che germoglia e dà vita. Il successivo dibattito in plenaria con tutti i docenti ha reso ancora una volta evidente l’importanza di un confronto condiviso rispetto alle prassi agite da ognuno dei docenti. Ma allora mi chiedo: se tutti hanno apprezzato questo momento di condivisione e lavoro comune, se in noi docenti l’esigenza della condivisione è viva, perché nella pratica didattica risulta così difficile condividere con gli altri una propria esperienza o un proprio modo di fare?
Durante tutti questi anni di insegnamento ho conosciuto tantissimi colleghi, alcuni buoni altri un po’ meno. In entrambi i casi ho imparato tanto: dai migliori ho appreso come avrei voluto essere e dai meno buoni ho appreso come non avrei voluto essere. Ho incontrato colleghi aperti al dialogo, al confronto, alla condivisione e ne ho incontrato altri, direi quasi veri e propri “disabili sociali” chiusi al dialogo, refrattari al confronto, contrari alla condivisione, persone assolutamente con problemi a rapportarsi con gli altri ed a gestire semplici relazioni umane, provocando danni irreversibili non solo alla personale socialità ma anche e soprattutto alla socialità altrui.
Ritengo che due delle caratteristiche necessarie di un buon docente siano la coerenza e le competenze sociali. Per competenza sociale si intende un insieme di abilità consolidate e utilizzate spontaneamente e con continuità per avviare, sostenere e gestire un’interazione che sia di coppia o di gruppo. Sappiamo bene che nessun insegnante può possedere tutte le qualità desiderabili e neanche tutte le competenze sociali, tuttavia dovrebbe avere almeno la capacità di lavorare in un gruppo e sviluppare un’attitudine positiva verso i colleghi.
Pertanto, credo sia necessario per un docente riflettere sulle proprie abilità relazionali prima di prevedere setting di tali abilità sociali per gli alunni. Non dobbiamo dare per scontato che i docenti siano competenti socialmente, ovvero abbiano acquisito definitivamente e, pertanto siano in grado di applicarle nei loro comportamenti quotidiani, le abilità sociali. Purtroppo ci sono docenti che manifestano numerose difficoltà relazionali fra colleghi.
Come posso insegnare agli alunni il rispetto dell’altro, il lavoro comune, come posso educare al valore della convivenza democratica se io in prima persona non metto in atto questi comportamenti? Ricordiamoci che si insegna più con il proprio comportamento, con le proprie azioni, con l’esempio piuttosto che con le belle parole. Perché, checché se ne dica, la condivisione dei saperi e il lavoro di team sono due cardini cruciali e fondamentali per noi insegnanti.
Sappiamo bene che ognuno di noi ha le proprie idee e i propri metodi, questo è chiaro, ma è altrettanto chiaro che molto spesso si pensa che siano gli unici e i migliori esistenti. Fermo restando che sia una cosa assolutamente normale, dovremmo comunque capire che se ci relazioniamo solo secondo i nostri modelli e chiudiamo le porte alla conoscenza e al rispetto di quelli degli altri, i conflitti che si generano sono inevitabili. Quando l’atmosfera è serena, lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre classi, ognuno è aperto e disposto a dare il meglio di sé. Purtroppo a volte bastano uno o due colleghi scettici o polemici per guastare il tutto, tuttavia è altrettanto vero che sono sufficienti uno o due colleghi positivi e determinati, per rendere vani gli intenti disfattisti e riportare l’armonia. Ricordiamoci che il confronto diventa scontro sterile se non si connota anche di “fiducia”, “disponibilità”, “intenti comuni”. È nell’intreccio tra questi indicatori che si caratterizza il processo di cambiamento positivo tipico di ogni buona prassi.
E come sosteneva Donald A. Schön, nel suo libro: “Il professionista riflessivo” rappresentando la categoria dei professionisti a lavoro sul campo, tra cui gli insegnanti, come musicisti jazz che riflettono continuamente nel corso dell’azione e che cercano di armonizzare la propria prestazione con gli altri, al fine di contribuire tutti al meglio all’opera che stanno producendo: “Ascoltandosi reciprocamente e ascoltando sé stessi, sentono in che direzione sta andando la musica e di conseguenza adattano il loro modo di suonare…”.
Una delle grandi meraviglie dell’essere umano è il suo potere al dialogo, scambio di idee ed esperienze, condivisione e discussione. Ecco, l’arricchimento reciproco nasce proprio da questo: dalla condivisione.
Bravissima come sempre. Hai proprio colto nel segno. La condivisione è una grande risorsa per i docenti. Purtroppo non tutti ne sanno sfruttare le potenzialità e capita non di rado purtroppo chi nasconde persino le cose più futili pur di non mettere a disposizione il proprio sapere. Bello l’esempio che hai fatto: quello della mela
Condivido ciò che ha scritto. Purtroppo non tutti gli insegnanti hanno questa apertura mentale. Capita e purtroppo molto spesso di trovare in classe colleghi che si nascondono e non collaborano…come se la condivisione fosse reato o peccato mortale
Solo la cultura è rivoluzionaria, se i giovani vengono formati al pensiero critico, alla complessità della visione storica, potranno avere gli strumenti per essere radici del futuro più giusto che potrà venire. La collaborazione tra docenti è indispensabile per educare alla complessità come scrive Edgar Morin. Le ricette facili ci rendono vittime della superficiale lettura dell’orizzonte del nostro tempo.