Martedì prossimo, 5 maggio, non aderirò allo sciopero del comparto scuola indetto da numerose sigle sindacali, tra cui quella di cui faccio parte, contro il Ddl di riforma del sistema di istruzione in discussione in Parlamento.
Poiché sono stato a lungo rappresentante sindacale FLC CGIL ritengo necessario, per onestà intellettuale e per dare un contributo alla discussione, spiegare le ragioni di questa mia scelta.
1) Questa riforma cerca, per la prima volta da molti anni (da quando è caduto il governo Prodi nel 2008, che aveva previsto un piano di assunzione in tre anni) di affrontare di petto il problema dei precari della scuola, con un piano straordinario di assunzioni che immetterà in ruolo più di 100.000 docenti. Dopo governi che hanno tagliato duramente i posti nella scuola e hanno lasciato letteralmente senza lavoro molti precari, mi viene difficile scioperare contro chi invece li assume.
Ovviamente, questo piano di assunzioni è criticabile. Vengono lasciati fuori i precari abilitati che non sono nelle Graduatorie a esaurimento. Tuttavia, il governo prevede un concorso per altri 60.000 posti, che servirà a stabilizzare anche questi, per quanto con una procedura diversa. I sindacati chiedono che tutti i precari con una certa anzianità, delle Gae e della Seconda fascia, vengano assunti senza concorso, rinviando quest’ultimo. Io mi oppongo fermamente a una proposta simile: il problema del precariato si è creato proprio perché non sono stati fatti concorsi regolari per molti anni. Bisogna tornare a un sistema normale in cui i concorsi vengono banditi regolarmente. Per fare questo bisogna eliminare le Graduatorie a esaurimento e bandire subito il concorso. Ai precari della Seconda fascia verrà essere riconosciuto, secondo gli emendamenti in discussione, il servizio prestato nella valutazione dei titoli nel concorso.
Non è vero che i precari di Seconda fascia con più di 36 mesi di servizio perderanno il posto: la norma, scritta male, sarà corretta in modo che non sia retroattiva. Quei posti verranno messi subito a concorso, ma nel frattempo nessuno verrà licenziato.
2) Questa riforma elimina la distinzione tra organico di fatto e organico di diritto, che crea gravi problemi alle scuole e soprattutto rende davvero precaria la situazione di chi lavora sulle cattedre di fatto. Per fare questo introduce il Piano triennale dell’offerta formativa e gli albi territoriali. Senza questi strumenti non è possibile eliminare l’organico di fatto. Gli albi territoriali permettono di gestire l’elasticità necessaria in un sistema in cui ci sono distacchi, comandi, part-time e tante altre situazioni complicate che non permettono di contare come stabili e definitive alcune cattedre o parti di cattedre. Il personale immesso in ruolo viene collocato negli albi territoriali in modo da poter lavorare nelle scuole secondo i piani triennali. In questo c’è una diminuzione di precarietà, non un aumento: si tratta dello stesso personale che attualmente, da precario, subisce una instabilità annuale. In ogni caso, è impossibile eliminare l’organico di fatto senza strumenti di flessibilità di questo genere.
Per questo mi sembra sbagliata l’opposizione netta agli albi territoriali. Molto più sensato sarebbe stato, accettando questo impianto, chiedere che questo sistema non si allarghi progressivamente a tutti i docenti, ma resti transitorio per i docenti neoimmessi in ruolo, che progressivamente dovrebbero essere assorbiti nell’organico con titolarità di sede. Sostanzialmente, si può pensare a un sistema con due tipi di organico di ruolo, che è comunque meglio di un sistema, come quello attuale, con organico di ruolo e organico non di ruolo, in cui il secondo subisce una precarietà ben più grave che nel primo sistema.
3) C’è poi il problema fondamentale, cioè quello del potere dei dirigenti scolastici.
Su questo, in primo luogo trovo esagerati tutti gli appelli contro la “dittatura” dei presidi e contro la violazione di principi costituzionali quali la libertà di insegnamento o simili. Anche nella forma originaria del Ddl, il potere dei dirigenti scolastici non arrivava a incidere sulle scelte didattiche dei docenti, né a determinare arbitrariamente il Pof, perché le norme che si riferiscono a questo non venivano modificate. Infatti, gli emendamenti in discussione riconducono l’approvazione del Piano triennale alle competenze attuali del Collegio docenti e del Consiglio di Istituto, ribadendo i principi del Regolamento dell’autonomia del 1999, che regge le nostre scuole. Tanto più che la riforma degli organi collegiali, inizialmente inserita tra le deleghe di questo Ddl, verrà invece rinviata a una discussione successiva, quindi le competenze e la composizione degli organi collegiali attuali non cambiano.
La cosiddetta “chiamata” dei docenti da parte dei presidi, cioè la possibilità concessa ai dirigenti scolastici di proporre incarichi triennali ai docenti degli albi territoriali, è invece il nodo più problematico. Anche qui, però, trovo eccessivo gridare al clientelismo, alla corruzione ecc. Certo, riconosco che è discutibile attribuire ai presidi il potere di scegliere il proprio personale, per varie ragioni: perché può essere arbitrario; perché non sono chiari i criteri e i vincoli; perché non si capisce come possano essere scelti i docenti, se non sulla basi di curricola piuttosto formali. Una selezione del personale da parte delle scuole dovrebbe essere fatta da una commissione, con un colloquio, non da un preside su una lista. Tuttavia, il principio si può accettare, per cercare di rendere più adeguato il personale alle esigenze specifiche della scuola. Gli emendamenti in discussione propongono in effetti di far affiancare il dirigente da una commissione nella scelta dei docenti.
In ogni caso, tutti questi problemi ci sono, ma mi sembra davvero retorico e eccessivo parlare di “dittatura” o simili. E soprattutto, ricordiamoci che il sistema attuale, basato solo sul punteggio in graduatoria, per l’assegnazione alle scuole, ha moltissimi difetti: parlando dei precari, cioè di quel personale che verrebbe stabilizzato e passerebbe negli albi territoriali, il sistema delle graduatorie crea il balletto assurdo di ogni inizio anno per cui spesso la scuola nomina qualcuno, che dopo qualche settimana o mese viene sostituito dal provveditorato. E questo avviene ogni anno, non ogni tre. Anche qui, invece di gridare allo scandalo e fare l’opposizione totale, sarebbe molto più utile cercare di migliorare la riforma.
In generale, osservo che si è creato un clima incomprensibile: se si difende la riforma non si può parlare o si subiscono attacchi verbali molto violenti. Io questo non lo capisco. Le opinioni sono fallibili, quindi io non attacco chi critica, anche duramente, la riforma. Mi limito a dissentire.
Professor Mauro Emanuele Piras
Riprendo gli studi di Tullio de Mauro e le analisi internazionali indipendenti sulle competenze degli italiani al 2015 per una riflessione spaventata su un aspetto fondamentale dello “stato presente dei costumi degli italiani”: l’alfabetizzazione primaria.
L’aspetto terrificante della questione, nonostante molti sostengano (non vorrei fossero tra i neo-analfabeti!) che internet abbia aumentato le conoscenze e le competenze dei navigatori italiani (sempre meno santi e poeti) è che il 5% degli italiani non è in grado di distinguere tra lettere e cifre e non riesce a scrivere che in uno stampatello “cuneiforme”; il 40 % ha difficoltà evidenti nella lettura; il 30% gravi difficoltà a comprendere ciò che legge: “un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile”. Il resto sono neonati o bambini in età pre-scolare. Solo il 20% è in grado di usare la lingua e la comunicazione in modo efficace. Questo si riflette in modo determinante su tutte le altre competenze, anche quelle logico-matematiche, creative o meramente operative. Come farebbe la maggioranza degli italiani a prendere delle decisioni sensate e a scegliere nella vita, nella politica, nel sociale, a distinguere semplicemente tra ciò che è bene o ciò che è male per sé stessi e per la collettività, senza possedere “gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”? Fino alla istituzione della nuova scuola media unica (1963) uno studente medio al compimento dei 14 anni (!!) era in grado di leggere e comprendere, oltre ai classici fondamentali della letteratura italiana come Manzoni, Dante, Leopardi, Foscolo anche scrittori come Cesare Pavese. Oggi so ,per esperienza professionale conclamata, che non è per nulla così, ahimè anche all’università e tra molti docenti in servizio nella scuola italiana. Non si riesce più ad instaurare un discorso, una semplice comunicazione, un dibattito con moltissime persone tra i 20 e i 50 anni. Si ha la forte sensazione di non essere compresi e che tutto ciò che viene detto o scritto, spesso con estrema presunzione unita al non rendersi conto dei propri terribili limiti, è frutto di tanti “copia e incolla” materiali e mentali da quel terribile coacervo di nozioni e informazioni incontrollate e il più delle volte decisamente poco attendibili che è la tanto osannata “rete” dove per navigare, non esagero nell’affermarlo, ci vorrebbe una patente speciale!
Infatti sto rinunciando pian piano a frequentare le chat e le linee di discussione su varie tematiche nel web perché mi sento sempre più idiota e disarmato difronte a tanta sfrontata e beata ignoranza. Una volta, con umiltà, per crescere e continuare a studiare seriamente per tutta la vita, anche svolgendo i mestieri più pratici e meno intellettuali, si ammetteva di non sapere: “nescio nescire” dicevano i latini. Pochi sono consapevoli di non sapere, o di non sapere abbastanza per vivere in un consesso civile, per lavorare e per comunicare con gli altri in modo non istintivo, a volte belluino, sovente superficiale. Si vorrebbe vivere in una specie di paese dei balocchi dove tutto è semplice e quando non si riesca in qualche cosa per la propria incompetenza, ci si affretta a dare la colpa a qualcun altro: lo stato, la politica, il pubblico, il privato, la scuola e chi più ne ha più ne metta.
Le responsabilità ci sono ma vanno ben individuate con cognizione di causa. La scuola è diventata la speranza di soluzione per tutto. Di fatto è così. E’ da lì che proviene la comprensione delle cose e la capacità di discernere e di decidere. Un nuovo fallimento nel rifondare la scuola sarà il fallimento per tutto il resto. Pensiamoci bene ed evitiamo di fare demagogia o populismo.
Abbiamo già affrontato il problema scuola e proposto alcune soluzioni tanto per partire con il piede giusto. Questi i punti essenziali e, a nostro avviso, irrinunciabili
Obbligo scolastico per tutti fino a 18 anni sia che si voglia fare l’operaio che il docente universitario.
Percorsi di istruzione differenziati, rigorosi e adeguatamente difficili, con scelta abbastanza precoce e possibilità di passaggi controllati tra l’uno e l’altro, con legami obbligatori (per scuola e impresa biunivocamente) con il mondo del lavoro, coerenti ed efficaci ma senza gerarchie.
Formazione universitaria ad hoc dei docenti, dei dirigenti e del personale scolastico con tirocinio duro e selettivo.
Formazione garantita per gli studenti in tutte le aree di conoscenza e competenza (lingua, logica, creatività…) fin dalla scuola dell’infanzia.
Remunerazione dei docenti di livello europeo e adeguata valutazione esterna finalizzata alla carriera, allo stipendio e, nei casi estremi, alla conservazione del ruolo.
Ridistribuzione di livello europeo del rapporto numerico studenti-allievi.
Formazione pedagogica e didattica solida e conclamata, accanto a quella della propria materia, per tutti i docenti dall’infanzia all’università.
Investimenti di alto livello nell’istruzione, la formazione, la ricerca e la cultura.
Riorganizzazione con un nuovo modello di pianificazione, degli spazi, da integrare tra loro, per la scuola e la cultura.
Non si esaurisce qui il problema ma i capisaldi imprescindibili sono quelli indicati e se non si affronterà la situazione in questo modo l’Italia non si riprenderà mai in nessun settore. Cerchiamo di riscattare l’abbecedario dalle lusinghe di Lucignolo e dalla furbesca perfidia del Gatto e della Volpe!
mi trovo perfettamente d’accordo con il professor Piras: la proposta della buona scuola mi sembra un progetto organico di riforma della scuola, dopo un ventennio di cambiamenti che non hanno fatto altro che abbassare moltissimo il livello dell’alfabetizzazione, soprattutto nella scuola primaria.
Certamente la norma è migliorabile, come tutti i fatti umani, ma mi sembra che tante delle critiche che vengono portate siano in realta’ delle pregiudiziali che non prendono in considerazione le proposte espresse, ma sono solo arroccate su posizioni difensive.
Continua a stupirmi invece il fatto che, di tutte le critiche o apprezzamenti che ho avuto modo di seguire, nessuna riguarda le modifiche introdotte all’insegnamento, ai programmi e alle materie: si parla solo di docenti e presidi. Ma la scuola non riguardava anche i bambini?
bravo, bravo Prof. Mauro Emanuele Piras..se mi dai l’indirizzo ti regalo una scatola di leccalecca così t’alleni, contento?
Brava Marinella, ma hai anche degli argomenti da dispensare oppure te la cavi sempre solo con battute del genere?