Con l’arrivo dell’estate, è tempo di valutazioni e di questioni in sospeso, di parole rimaste non dette. Negli ultimi tempi, gli insegnanti sono stati oggetto di un’ampia gamma di giudizi e sentenze da parte degli studenti e dei genitori. Si è diffusa l’espressione “customer satisfaction”, che suona sempre bene nell’ambito scolastico (dando un tocco moderno), utilizzata per misurare la soddisfazione del “cliente” – termine che, a quanto pare, siamo diventati. Molte scuole chiedono alle famiglie di esprimere il loro livello di soddisfazione riguardo all’anno trascorso attraverso sondaggi online.
La scuola si è adeguata alle dinamiche del mercato.
Comunque, gli insegnanti stanno ricevendo anche voti. Gli studenti e i presidi, in cerca di opinioni online dai genitori, affermano che ciò li aiuta a capire meglio il lavoro svolto in classe. Si analizzano i punti critici, i problemi di relazione, le questioni comunicative, la qualità dell’insegnamento, la disponibilità al dialogo e così via.
È un processo utile, a patto che sia accompagnato da sincerità intellettuale da parte degli studenti e dei genitori. Altrettanto utile sarebbe, alla fine dell’anno, valutare il nostro ruolo di adulti nei confronti dei ragazzi, non solo in termini di professionalità, di competenza didattica e di risultati ottenuti (aspetti difficili ma necessari da valutare), ma anche in relazione a elementi più personali e intimi: i “vizi” e le “virtù” degli uomini e delle donne che si dedicano all’educazione. Sono proprio questi aspetti complessi da valutare che possono influire negativamente sui risultati, ribaltare situazioni, mortificare sogni o non alimentare speranze.
Pertanto, per un puro esercizio “etico”, ecco i sette peccati capitali dell’insegnante secondo quanto riportato dal Corriere: l’accidia, la faziosità, la superbia, l’indolenza, l’invidia, il pressapochismo e la freddezza emotiva.
L’accidia rappresenta un peccato dell’intelletto che va oltre il semplice non fare niente. Si tratta di un rifiuto di affrontare problemi, rischi e scoperte. “Gli insegnanti devono avventurarsi nelle zone più pericolose, che costituiscono l’incertezza permanente del mondo”, come afferma il filosofo parigino Edgar Morin. Tuttavia, “vivere la scuola” non è affatto facile. L’insegnante accidioso è una persona costretta a svolgere un lavoro per il quale non nutre alcun interesse. Rimane indifferente, trascina le lezioni, minimizza gli errori e le negligenze. È ben consapevole dei suoi doveri e compiti, ma, pur di evitarli, ne minimizza l’importanza, convinto che siano piccolezze che possono essere rimandate senza gravi conseguenze.
L’accidia rappresenta un rifiuto della curiosità creativa e condanna l’insegnante a una condizione polverosa di impiegato del settore pubblico, come effettivamente accade. L’accidia è insopportabile, ma diventa un vizio capitale per un educatore. È l’incapacità di prendere sul serio le cose, è una sorta di torpore che porta alla distrazione. Durante le riunioni, il suo tipico modo di pensare è “È impossibile cambiare, tanto vale…”. Durante i consigli di classe, lascia fare, lascia dire ed è maestro nell’abbozzare. Elogia il pessimismo (“meglio se la scuola chiude”) e diventa prolisso, inizia a divagare, prende una direzione diversa senza mai affrontare il cuore del problema, preferendo invece ricorrere al vile pettegolezzo per cercarne le cause.
La freddezza emotiva rappresenta il peccato più grave tra quelli commessi dagli insegnanti. L’insegnante freddo si limita a trasmettere dati e informazioni, valutandoli poi con un approccio ragionieristico. Può essere dotato di una preparazione eccellente, di un curriculum invidiabile e persino di un certo carisma, ma è indifferente. Rimane impassibile, imperturbabile, autocontrollo e distante. Questo atteggiamento può andare bene per impartire lezioni, ma non per ricevere intelligenza e vita dai ragazzi.
L’insegnante emotivamente freddo sostiene che agisce in questo modo per garantire serietà ed esigenze didattiche. Tuttavia, corre il rischio di diventare indifferente nei confronti di tutti. Assomiglia alle persone che gli psicologi includono nella categoria della “triade oscura”: distanti dagli altri, aggressive e malvagie. Questa categoria comprende i narcisisti (“gli altri esistono solo per adorarmi”), i psicopatici (“le altre persone sono solo oggetti”) e i machiavellici (“il mio fine giustifica i mezzi”).
La faziosità si manifesta come parzialità verso gli studenti, come settarismo e fanatismo nelle idee, nel ragionamento e nelle scelte. L’insegnante è fazioso quando non tratta tutti gli studenti con equità, quando non valuta correttamente e non richiede a ciascuno lo stesso impegno e ingegno. È fazioso quando diventa partigiano per convenienza (ad esempio, il figlio dello studente Caio), per debolezza (ad esempio, lo studente Sempronio è un poco di buono), per opportunismo (con gli ultimi c’è bisogno di troppo lavoro), per l’effetto Pigmalione (ho un’ottima impressione di Caio, quindi…) o per mancanza di passione.
L’insegnante è fazioso quando non rispetta le regole del gioco, quando perde equilibrio, moderazione, equità, obiettività, serenità e passione su un argomento o un’idea specifica. Diventa un fanatico di un certo ragionamento. Sceglie cosa imporre alla classe, chiude il dialogo, rifiuta idee diverse e incoraggia il conflitto piuttosto che la discussione e il confronto di fatti e idee, il che non è affatto positivo.
La superbia si manifesta quando l’insegnante mostra sicurezza e cultura, ma sminuisce i meriti degli altri. Tuttavia, non sempre è veramente convinto di possedere tutte le qualità che si attribuisce. Teme delusioni e insuccessi perché rivelerebbero la verità che sospetta: che in realtà è un individuo come tutti gli altri. Il superbo è una persona innamorata della propria superiorità, reale o presunta, e si aspetta un riconoscimento. Ha un disperato bisogno di riconoscimento professionale. In generale, nella scuola c’è poca fierezza e molta superbia, poca dignità e molta apparenza, poca ambizione (nel senso positivo di cercare il nuovo, il meglio, il bello) e molta presunzione, poca umiltà e molta supponenza.
L’indolenza è il peccato più evidente. Basta osservare l’opposto dell’insegnante indolente: un’esplosione incontenibile di energia, operosità, slancio, risolutezza e laboriosità. L’insegnante indolente è svogliato, trascurato, inerte, sonnacchioso, apatico, inattivo, indifferente, fiacco, insensibile e pigro. L’indolenza, che può essere una manifestazione occasionale di pigrizia, diventa un vizio quando l’insegnante inizia a provare un sottile piacere in quella condizione. Age quod agis, come dicevano i latini: fai bene ciò che stai facendo.
L’invidia avvelena l’esistenza. Non si tratta solo del desiderio di possedere talento e qualità simili a quelli di un’altra persona, ma anche dell’odio per ciò che quell’altra persona è o rappresenta. L’insegnante invidioso del collega carismatico, pieno di passione e ingegno, amato dagli studenti e dai colleghi, che fa le cose non per i benefici economici ma per piacere, non si limita a covare rancore, ma semina calunnie e desidera distruggere le virtù dell’altro. L’invidia si nutre di risentimento. Si insinua nella pretesa di valere qualcosa per se stessi e agli occhi degli altri. L’insegnante invidioso sminuisce i successi degli altri e li attribuisce alla fortuna, al caso o sostiene che siano frutto di ingiustizia. La professionalità e l’entusiasmo altrui diventano fonte di frustrazione personale.
Infine, il pressapochismo, ovvero la superficialità, la disattenzione e la mediocrità, viene condannato in due semplici righe. L’insegnante pressapoco è un insegnante per caso. È l’insegnante sbagliato, che danneggia gravemente la società.