Ho un ricordo indelebile della mia infanzia, che penso porterò con me per tutta la vita: la domenica in giro con mamma e papà, con mamma che aveva in tasca la poesia da imparare a memoria. Si stava in fila o in attesa di un autobus? Mamma mi faceva ripetere uno o due versi.
E vi parlo della fine degli anni ’90, del primo decennio duemila. Non degli anni ’20, della scuola della bacchetta, vi parlo di una scuola che ci faceva studiare tanto sui banchi ma poi ci faceva lavorare tanto a scuola. Ho odiato i compiti, ci sbuffavo sopra, litigavo coi miei genitori, mi annoiavo. Ma oggi, dopo tanti e molto più sale in testa, dico grazie. Grazie ai compiti che mi hanno fatto apprezzare lo studio e mi hanno dato una forma mentis utilissima nell’organizzazione e nella responsabilizzazione, nel portare a termine un obiettivo secondo dei tempi fissati.
Piccoli aneddoti della mia vita per arrivare al cuore di questo articolo: la guerra ai compiti.
La guerra ai compiti era già in corso quando andavo a scuola dell’obbligo, all’epoca ascoltavo pigramente, oggi ascolto molto più attentamente perché sono un educatore ma sono soprattutto una persona che sta studiando per diventare insegnante. E che da dietro una cattedra darà compiti, soprattutto durante le vacanze.
La guerra ai compiti era avanzata da una marginalità di mamme che non trovavano grandi appigli fino ad oggi dove quella marginalità è diventata preponderanza, ha sfondato gli argini diffondendosi come una peste fino ad arrivare al ministero che quest’anno ha rilasciato un inquietante decalogo in cui si suggerisce di ridurre il numero di compiti e non darli proprio durante le vacanze di Natale.
Motivo? Per il ministro Bussetti lo scopo è di dare modo ai ragazzi di passare più tempo con le proprie famiglie. Oh che carini, penso che mi scioglierò. Ma volete sapere come andrà realmente a finire? Che faranno meno compiti, torneranno a gennaio con il deserto in testa e passeranno quindici giorni col naso nello smartphone, su Youtube e a farsi le dirette di Instangram.
I compiti sono fondamentali e questo per l’Italia è un fatto, il fatto che Bussetti si opponga e faccia il decalogo alimentando la guerra ai compiti dimostra come fosse un professore di educazione fisica e non avesse dunque modo di saggiare concretamente con il declino culturale.
Perché aldilà del “non sanno scrivere”, critica sacrosanta che tanti muovono, io ci aggiungo che non sanno più pensare. Non sanno più riflettere, non sanno più argomentare. Chiedi un pensiero critico, un parere, una banalissima opinione e anche alle medie ti rispondono bello-brutto. Scrivono frasi brevi con una struttura da elementari. E dargli meno compiti vorrà dire atrofizzarli ancor di più, far regredire il loro già poco stimolato cervello.
Razionalizziamo i compiti, miglioriamoli. Questo sì, ad esempio opporsi a quei professori che danno tre pagine piene di esercizi il lunedì mattina per il martedì mattina. O quelli che fanno studiare dieci pagine a casa ma non le spiegano minimamente in classe.
Ma quando il tempo di distanza è giusto, quando c’è comunque lavoro in classe e soprattutto quando ci sono le vacanze di Natale (15-17 giorni) o estive (tre mesi) i compiti vanno dati.
In primis perché la scuola può e deve fare tanto, ma ci vuole anche tanto lavoro a casa anche solo per fissare i concetti o ripeterli. E questo è un fatto che varrà per tutta la vita, chiunque viva di studi sa benissimo che arriva il momento di chiudere i libri di testo ma tenere comunque aperto il fronte degli aggiornamenti, delle riviste di settore. Non bastano le ore di lezione, è una grandissima partenza, ma non è tutto.
Secondo punto: i compiti servono già solo per istruire ad organizzarsi e responsabilizzarsi. Sono studente universitario e sapete cosa vedo tanto nei gruppi universitari su Facebook? Giovanissimi in eterna disperazione di non riuscire a gestire la preparazione degli esami in poco tempo. Io sono riuscito a dare tanti esami in poco tempo pur studiando e lavorando, o sono Mandrake oppure molto semplicemente ho una forma mentale capace di venire a capo di queste problematiche. E se ci penso so da dove nasce tutto questo: dal rispettare costantemente i compiti e imparando, a furia di errori, a muovermi per tempo, ad organizzarmi, a gestirmi, a non tirarmi all’ultimo.
I ragazzi di oggi invece vengono tutelati, coccolati, protetti, giustificati se non si ammazzano di studio a casa, poi arrivano in università e vanno in crisi per fare esami. Figurarsi se togliamo i compiti cosa succederà.
Molti, spesso, mi fanno notare che all’estero non vengono dati compiti. E questo è vero, ma all’estero non hanno il tasso di analfabetismo funzionale che abbiamo noi. Non hanno indagini statistiche (Istat, fine 2017) che dicono che ci sono intere porzioni di paese che non legge neanche un libro all’anno.
Siamo in emergenza culturale, abbiamo un’emorragia di conoscenza e la soluzione non è di sicuro togliere i compiti o ridurli ma stimolarli a farne ancora di più, a lavorare, a sfruttare il cervello che abbiamo. E va fatto fin dalla più tenera età, sarà difficile farlo capire quando avranno 20-30-40 anni.
Soprattutto nei giorni di vacanza, anzi vi dirò che servono più nei giorni di lunghe pause (ovvero quando manca per grandi periodi la scuola) che durante la settimana dove comunque la scuola la vedi sempre.
Di chi è la colpa di tutto questo? Il ministro e il ministero in piccola parte, a conti fatti loro sono solo coerenti con la loro distorta visione di uccidere la cultura: è più facile governare cento ignoranti che cento persone con vasta cultura.
La grande responsabilità ce l’hanno i genitori. La classe genitoriale di oggi, che tanto si anima davanti a queste decisioni e invece dovrebbe ribellarsi al ministero, ha fallito su tutta la linea. Sta crescendo generazioni future su basi farraginose. Le sta crescendo secondo il metodo di spostare sempre la responsabilità: educazione? Spetta alla scuola. Compiti? Non servono, togliamoli. E quando si affronta l’argomento con questi genitori, che fortunatamente non sono tutti ma la gran parte si, le risposte che ricevi non hanno fondamenta.
Ad esempio, ti dicono che lavorano o che devono mandare avanti la casa. Anche i miei genitori lavoravano e avevano una casa da mandare avanti, eppure mi hanno sempre fatto fare i compiti.
I genitori di oggi ti ricordano che non tutti hanno la fortuna di avere i nonni vicini, i miei nonni all’epoca della scuola dell’obbligo stavano a 40 chilometri di distanza. I genitori di oggi ti dicono che dopo l’orario pieno è assurdo fare i compiti, io ho fatto solo orario pieno alle elementari e facevo compiti tutti i giorni.
Il problema dei genitori di oggi è che accampano scuse su scuse per non fare i compiti, si fanno passare come gli unici lavoratori di questo pianeta. Ma poi quando si tratta di portarli agli allenamenti di calcio, a nuoto, basket, karate, danza, teatro, questo e quello diventano i genitori più liberi di sempre. Poi tornano a casa tardi, guardano il diario del figlio e trovano che ha i compiti. E a quel punto parte la critica tattica contro la scuola. Eh già, è proprio colpa della scuola, magari guardare il diario prima ed eventualmente saltare per un giorno è troppo complicato.
Per non parlare poi di quei genitori che sfornano prole ma continuano a fare la vita da neo-sposini continuamente in giro. Fare figli è sacrificio e rinunce.
Ed ancora di quelli che scrivono “i miei figli stanno a fare i compiti fino alle 23”. Se un bambino sta a fare i compiti fino alle 23 vuol dire che c’è più di un problema. O l’ingenuità, sopra detta, di fare tutto e controllare tardivamente il diario oppure mettersi a fare i compiti sedendosi al tavolo scordandosi l’astuccio, lo zaino, il diario, poi si alzano per andare in bagno, ogni dieci minuti si fermano, vanno a mangiare. Quando ti siedi a studiare devi avere tutto e fare una pausa fatta bene. Vedi che a quel punto non finisci alle 23.
Ho aperto con un aneddoto e chiudo con un aneddoto: nella scuola dell’obbligo mi davano i compiti delle vacanze e me ne davano tanti. Eppure, io riuscivo il 25 dicembre e il 1° gennaio a non fare assolutamente nulla pur arrivando con calma e tranquillità all’ultimo giorno di vacanza. La magia del sacrificio e dell’organizzazione.
— Matteo Gabanella, educatore