I videogiochi sono un argomento sempre molto dibattuto. Purtroppo alcuni episodi di violenza vengono erroneamente attribuiti all’utilizzo continuativo di videogame. C’è però da sottolineare un aspetto molto importante per quanto riguarda il mondo videludico: la dipendenza.
Molti giochi infatti tendono a tenere incollato il suo utilizzatore inducendolo ad una vera e propria dipendenza da non prendere assolutamente sotto gamba. Questa infatti è una dipendenza a tutti gli effetti e quindi, quando si verifica una situazione di astinenza, la reazione è la stessa delle persone in astinenza da droga.
I fatti si sono svolti in Thailandia, precisamente in Sisaket. Sak Duanjan, un ragazzo di 29 anni, ha sviluppato una seria dipendenza dai videogiochi, in particolare con quelli utilizzabili con lo smartphone. Una sera, tornato a casa completamente ubriaco, ha iniziato a giocare a tutto volume.
Il patrigno, Chakri Khamruang, di 52 anni, era esasperato dalla situazione. Ha quindi deciso di fare un gesto che gli sarebbe costato caro: disattivare il Wi-Fi a casa. Subito Sak è andato in escandescenza ed ha aggredito il padre il quale si è difeso in maniera violenta. Poco dopo Sak ha finto di andare a letto, in realtà stava architettando un diabolico piano.
Con la complicità delle tenebre, il ragazzo ha deciso di vendicarsi avvelenando l’acqua del pozzo presso il quale la famiglia prendeva l’acqua. Fortunatamente la mamma si è accorta che qualcosa non andava. Il mattino seguente la madre ha preso l’acqua per cucinare e ha capito qual era il problema: l’acqua era stata avvelenata con del pesticida.
«Ancora non credo che possa averlo fatto. So che si arrabbia molto facilmente. Abbiamo fatto del nostro meglio per affrontare la sua rabbia, ma questa volta è diventato troppo» ha dichiarato la mamma. Il ragazzo ha confessato di aver avvelenato l’acqua per vendetta perché non poteva più giocare.
I genitori hanno dichiarato: «Volevamo che gli ufficiali lo prelevassero affinché venisse portato in ospedale per essere sottoposto a cure per gestire la rabbia. Non vogliamo vivere nella paura chiedendoci quando ci attaccherà di nuovo. È difficile fermarlo, ormai è un adulto. Solo i medici possono aiutarci».