I recenti casi di bullismo che si sono susseguiti in queste ultime settimane mettono in luce un fatto: stiamo vivendo una vera e propria crisi culturale. Quello che stiamo vivendo infatti è una crisi pedagogica di grande portata che sfocia poi in atti di bullismo ripetuti.
Il fallimento non è solo della scuola o della famiglia, entrambi infatti hanno fallito in qualche misura. Ma se il fallimento parte dalla famiglia, inizia il più classico degli “scarica barile” e che va di conseguenza ripercuotendosi sulla scuola.
E a farne le spese sono i docenti, che ormai altro non sono che delle macchine il cui solo scopo è produrre in serie un certo numero di promossi e diplomati. Ma in questo modo si perde di vista il vero scopo dell’istruzione, e questo genera solo illusioni nei confronti dei futuri docenti convinti che, un domani, possano cambiare veramente il futuro dei ragazzi.
La scuola, vista un tempo come il luogo sacro dove il sapere veniva appreso, ora ha perso consistenza, cancellando irrimediabilmente il sorriso stupito degli alunni quando apprendevano qualcosa di nuovo. Sui loro volti, sempre più spesso, si materializza un’espressione annoiata, distante.
Le nuove tecnologie hanno aperto le porte dirette verso il futuro, ma hanno creato la scuola dei “senza” (senza gessetti, senza quaderni, senza penne, senza libri e via discorrendo). Ma tutto questo sta migliorando il rendimento scolastico ed il comportamento in aula? Probabilmente se si ricominciasse ad insegnare lo stupore ai bambini le cose cambierebbero.
La vera riforma da attuare per ridare lustro alla scuola dovrebbe essere un aggiornamento sia dei programmi sia dei contenuti e che venga data la possibilità di riflettere su cosa si possa offrire a questi ragazzi, piuttosto che come questo venga offerto.