Empatia in Classe: Perché Dovrebbe Interessarmi?

Insegno nella scuola primaria da tanti anni ma solo quest’anno mi sono resa conto dell’importanza dell’empatia in classe fra docenti e alunni, l’importanza di stare bene a scuola.

Ogni giorno incontravo gli alunni che giungevano a scuola e scorgevo nei loro visi espressioni diverse: chi era assonnato, chi era impaurito, chi era arrabbiato, chi non aveva voglia e mi chiedevo in quale modo avrei potuto invogliarli ad imparare, a scoprire il mondo; ma anche come potevo dedicarmi completamente a loro mettendo da parte i miei pensieri e le mie preoccupazioni.

E poi, guardandoli, ho capito: basta semplicemente un sorriso, per farli stare bene, per farli sentire tranquilli, per fare in modo che siano aperti alle esperienze e ad apprendere.

Come? Io ho trovato piccoli espedienti per stare bene insieme, per essere sereni e ben disposti gli uni verso gli altri.

Innanzitutto al mattino, quando li accolgo all’ingresso al suono della campanella, io sorrido: sorrido e saluto con un allegro “buongiorno!” , magari anche con un abbraccio se qualcuno tende le braccia verso di me, una carezza, una pacca amichevole. Saluto ciascun alunno guardandolo negli occhi, sorridendo, chiedendo come sta; guardo ciascuno negli occhi per far loro comprendere che sono interessata a ognuno, sorrido perché mostrare un sorriso sincero e un viso amichevole rende tutto più piacevole, sorrido perché manifesto il piacere che provo a stare insieme e a dedicarmi a loro.

Inoltre il sorriso è “sintomo” di allegria e l’allegria è assolutamente contagiosa!

All’inizio di questo esperimento per me è stato difficile: dovevo ricordare a me stessa di sorridere, dovevo esercitarmi ad essere accogliente ma, viste le reazioni positive dei bambini, i loro sorrisi, è diventato assolutamente naturale e piacevole accogliere i miei alunni in allegria.

Anzi a poco a poco essi hanno imparato a fare lo stesso con me, con gli altri insegnanti e soprattutto con i compagni: salutarsi, sorridersi, accogliersi a vicenda, ritrovarsi e chiacchierare qualche minuto è gradevole e predispone ad atteggiamenti positivi nei confronti degli altri.

Un’alunna timidissima entrava sempre a scuola silenziosa, con gli occhi bassi e restava lontano dagli altri; dopo circa due mesi di “accoglienza col sorriso”, la stessa bimba entrava a scuola a testa alta, con il sorriso, salutava e si accostava alle compagne per ascoltare ma anche per parlare con loro.

Anche nel momento dell’uscita da scuola il congedo cortese con il saluto e il sorriso personale ad alunni e genitori scioglie le tensioni della giornata, presuppone un piacevole ritorno la mattina dopo ed è il modo migliore per dialogare con un genitore se c’è stato qualche problema particolare.

Un altro piccolo trucco è l’atteggiamento positivo in classe.

empatia

Ovviamente sorridere è fondamentale per creare empatia in classe, inoltre cerco di parlare gentilmente, di mantenere un tono pacato anche nei rimproveri, e ciò mi aiuta a tenere sotto controllo la rabbia che a volte cresce; sono consapevole quanto sia importante il mio lavoro fatto bene per la vita dei bambini. Non è facile restare calmi ma l’esercizio di contare fino a dieci nei momenti di tensione e fare respiri profondi prima di esplodere mi ha aiutata molto.

Un altro punto importante è lo stato d’animo degli alunni.

Forse perché sono anche mamma e ho vissuto entrambi i ruoli, so quanto sia difficile per gli alunni andare a scuola e concentrarsi se hanno piccoli malesseri, se hanno piccole necessità difficili da spiegare, se non si sentono ascoltati: un alunno con il mal di pancia non riesce a stare attento, un’alunna che ha litigato con la mamma è distratta, un bambino che ha ascoltato una discussione fra i genitori è preoccupato quindi nessuno di loro è sereno e pronto ad apprendere.

Ecco perché ho imparato ad osservare gli alunni soprattutto all’inizio della giornata e a rassicurarli con un tono di voce calmo, sicuro e rispettoso; basta ascoltarli perché si sentano meglio e affrontino la giornata più sereni, facilitando notevolmente il processo di apprendimento.

Infatti un tono di voce calmo dimostra che siamo disponibili a comunicare e ad ascoltare, un tono sicuro dimostra che abbiamo riflettuto prima di parlare e la situazione è sotto controllo, un tono rispettoso, non aggressivo né arrogante, rende il bambino più sicuro e noi adulti più credibili: chi è forte non ha bisogno di gridare!

Le battute ironiche non sono comprese dagli alunni più piccoli, il rimbrotto continuo magari sottovoce, non fa comprendere quale sia il comportamento sbagliato e come migliorare. Comunque ogni educatore deve ricordare che i bambini sono persone quindi meritevoli di rispetto.

Il comportamento controllato dell’insegnante è di esempio agli alunni e permette loro di gestire se stessi: è successo che una bimba venisse da me a dire che si sentiva agitata e disattenta per quello che aveva sentito dire ai genitori, dopo averla ascoltata si è sentita più tranquilla e, con il proposito di parlare con la mamma, si è sentita disposta a proseguire la giornata.

Mi rendo conto che sembra impossibile ma non è così: sono necessarie tanta empatia in classe, tanta pazienza e tanto esercizio di autocontrollo. So per esperienza che sgridare, alzare la voce, perdere la calma non ha ricadute positive anzi comunica agli alunni che l’insegnante non ha più il controllo della situazione.

Altro espediente perché gli alunni stiano bene consiste nel fare dei complimenti; non stucchevoli, non forzati ma semplici e sinceri; quando si presenta l’occasione, complimentarsi per un’acconciatura carina, per gli occhiali nuovi, per il grembiule in ordine, per la merenda sana: i complimenti piacciono a tutti e mettono di buon umore.

Un ultimo accorgimento: per correggere gli errori sui quaderni io uso la penna verde e non rossa.

Dopo avere letto un articolo su facebook ho deciso di distruggere un mito e provare qualcosa di diverso. Il mio punto di vista è stato questo: ho sempre detto ai miei alunni che sbagliando si impara ma usare la penna rossa per sottolineare gli errori era per me un controsenso perché rosso significa stop, fermarsi solo a evidenziare l’errore.

Allora ho provato ad utilizzare un’altra logica: se l’errore deve servire a migliorare, quindi a comprendere l’errore per non ripeterlo e andare avanti perché non usare la penna verde?

Come nel semaforo: rosso significa “stai fermo” mentre verde permette di andare avanti e raggiungere la meta.

Ho aperto una discussione con gli alunni che hanno mostrato di gradire l’idea, hanno mostrato tanto entusiasmo e maggiore attenzione agli errori trovati per migliorare e non ripeterli. Devo confessare che all’inizio è stato difficile abituarmi a prendere la penna verde invece che rossa ma loro ma hanno dolcemente ripresa, sempre con il sorriso. Magari il prossimo anno sceglieremo il viola!

Il lavoro in classe con gli alunni non è semplice, richiede molto impegno e dedizione ma io credo che creare le condizioni favorevoli per stare bene insieme sia fondamentale perché gli alunni possano portare avanti un processo di apprendimento significativo per la loro vita.

 


Autore articolo
Giusi Sorce

Giusi Sorce

Insegnante

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