Il fenomeno dell’effetto Pigmalione è conosciuto anche con il nome di “profezia che si autoavvera” o “effetto Rosenthal“, (dal nome dello psicologo tedesco che per primo studiò e teorizzò questo fenomeno, insieme a Leonora Jacobson).
Il personaggio di Pigmalione possiamo ritrovarlo in un brano della mitologia greca di Ovidio: la storia narra che Pigmalione, scultore e re di Cipro, realizzò una statua di avorio così bella da innamorarsene.
Chiese quindi alla dea Afrodite di trasformare la statua in una creatura umana in modo da poterla sposare (Rosenthal per la definizione di questo fenomeno si riferì non al mito greco ma alla celebre e omonima opera teatrale di George Bernard Shaw del 1912).
Vediamo quindi concretamente come si configura questo fenomeno psicologico: si tratta di una forma di suggestione per cui le persone tendono ad adeguarsi e a conformare i loro comportamenti all’immagine che altri individui hanno di loro. Questo succede sia che essa sia un’immagine positiva sia che sia negativa.
A titolo esemplificativo cito l’esperimento condotto dallo stesso Rosenthal e dalla sua equipe. Somministrarono ad alcuni bambini, facenti parte di una scuola elementare californiana, un test d’intelligenza. Successivamente al test vennero selezionati, casualmente, alcuni bambini e ai loro insegnanti fu fatto credere che fossero dotati di un’intelligenza sopra la media.
L’anno seguente Rosenthal si recò nuovamente presso la scuola elementare e constatò che il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato rispetto a quello dei coetanei. Questo grazie all’influenza benefica che i docenti avevano avuto verso quei particolari allievi, stimolandone la passione verso lo studio, in modo inconscio.
L’ effetto Pigmalione ovviamente può attivarsi non solo nell’ambito scolastico ma in tutti quei rapporti di tipo sociale: come tra datore di lavoro e dipendente, in ambito familiare tra genitori e figli o in ambito medico (il cosiddetto “effetto placebo”).
Cosa vuol dire concretamente l’effetto Pigmalione nella quotidianità scolastica?
Se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato rispetto agli altri, lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso rispetto al gruppo classe; il bambino interiorizzerà il giudizio ricevuto e si comporterà di conseguenza. Viene a instaurarsi così un circolo vizioso per cui il bambino si conformerà all’idea di sè che gli viene rimandata e tenderà a divenire esattamente come l’insegnante lo aveva immaginato ed “etichettato”.
QUANDO SUCCEDE QUESTO?
Ad esempio quando un alunno viene sorpreso a copiare durante una verifica, magari più di una volta.
In occasione di una futura verifica, anche se avrà studiato seriamente, il suo voto positivo non sarà valutato in modo giusto ma il pensiero sarà “ha copiato anche questa volta, solo che non me ne sono accorto. Non ha studiato, copia sempre” e il ragazzo si vedrà penalizzato nella votazione.
Un altro caso tipico è un ragazzo che non è particolarmente portato per una determinata materia e prende sempre voti bassi. Accade però che un argomento specifico, in una occasione, riesca a comprenderlo senza difficoltà e quindi ad ottenere una votazione almeno sufficiente.
In questo caso il pensiero ricorrente sarà simile a questo “impossibile ci sia riuscito da solo, non è portato, non capisce la materia, deve aver copiato per forza“, senza immaginare che ci possono essere mille motivi per cui una persona possa capire più o meno facilmente alcuni concetti rispetto ad altri.
Non vi è mai capitato direttamente o indirettamente di sentire frasi come “non ci riuscirà mai anche se si impegna, impossibile che sia opera sua, questo è troppo per lui?”. Questi concetti equivalgono a delle gabbie mentali che non ci lasciano liberi di valutare le circostanze in modo imparziale e giusto.
Facendo parte di un contesto sociale che valuta solo il suo rendimento, per di più se in maniera negativa, il bambino, in maniera inconscia, omologa i suoi comportamenti all’etichetta che gli è stata data. Pertanto quando il suo lavoro si rivelerà positivo troverà egli stesso delle motivazioni per svalutarlo, in modo da potersi conformare all’idea che ha acquisito di sè.
Non si fatica a comprendere quanto questo fenomeno possa rivelarsi pericoloso quando si connota in maniera negativa, andando a incidere profondamente sia sui rendimenti scolastici sia sull’autostima. Effetti che dal bambino si ripercuotono su tutto il nucleo familiare nel complesso.
Federica Ghirardo
Pedagogista specializzata nei disturbi di apprendimento e nel sostegno alla genitorialità
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Le affermazioni della Dottoressa Ghirardo sono vere e totalmente condivisibili per quanto attiene alla fascia di età relativa all’ infanzia. Il discorso, tuttavia, si complica quando si considera la fascia di età relativa all’ adolescenza. Nella mia passata esperienza di insegnante nella Scuola Secondaria ho potuto verificare che i presupposti dell’ Effetto Rosenthal permangono ancora nei rapporti tra docente e discente ma vengono troppo spesso (!) considerati come alibi per tentare di giustificare la mancanza di impegno. L’ accusa, che con troppa frequenza ho sentito ripetere da certi Colleghi e dalla stragrande maggioranza dei genitori di allievi considerati “insufficienti”, è che la colpa sia da attribuire quasi esclusivamente ad insegnanti poco preparati ed incapaci di “motivare” il discente. Nobili ed impegnative parole, ma la pratica è spesso molto lontana dalla retorica didattica! E’ vero che il docente ha l’ obbligo professionale e morale della “paideia” ma è altrettanto vero quanto affermava Theognis il Megarese (VI secolo a.C.) nelle sue Elegie a proposito della “impossibile educazione”: nessun maestro, per quanto bravo, potrà rendere savio lo stolto e valente l’ inetto (Elegie, 429-438). Tra docente e discente è sempre necessaria la “COLLABORAZIONE”: il docente insegna, facendo ricorso alla sua esperienza ed alla sua capacità per motivare all’ apprendimento, ma il discente “DEVE” aver voglia di imparare! Purtroppo, invece, la malafede di tanti insegnanti “progressisti ad oltranza” e di molti genitori che -umanamente degni di comprensione ma non per questo giustificabili- non si rassegnano di fronte ai fallimenti dei propri figli, rendono difficilmente praticabile una modalità di insegnamento che, teoricamente ed eticamente, è la strada maestra per l’ apprendimento. Spesso ho fatto ricorso, nella mia attività quotidiana, al confronto con la formazione atletica: nessun maestro, per quanto campione e valido trainer, potrà mai portare al successo chi non ha voglia di impegnarsi seriamente e, se è necessario, anche di fare fatica e di fare qualche sacrificio per ottenere i risultati sperati. Come si può constatare, le affermazioni di Theognis -datate al VI secolo prima di Cristo- continuano ad avere un indiscutibile valore anche ai giorni nostri.
Un insegnante di scuola superiore, per giovani da quattordici anni in su, non deve avere un rapporto one to one con gli alunni studenti come erroneamente fanno gli psicologi a scuola. Devono avere un rapporto attraverso la disciplina che insegnano e un insegnante che riesce a far appassionare alla propria disciplina gli studenti a mio avviso ha un effetto pigmalione. Oggi, infatti, la scuola è diventata un oratorio perché si privilegia il fattore psicologico anziché lo studio, serio e motivato, delle discipline.