Me ne sono convinta un giorno in cui i miei ventinove virgulti dodicenni e io, esasperati da un’aula informatica simile a un lazzaretto, abbiamo deciso di darci al BYOD.
Se mai non bastassero gli acronimi nostrani a rallegrarci con PTOF RAV BES PDM et similia, ne abbiamo rubato uno di marca anglosassone. Bring Your Own Device.
Ovvero, per far fronte alle dotazioni informatiche antidiluviane, porta il tuo dispositivo elettronico, prega che si mantenga intatto, perché la scuola declina ogni responsabilità e, soprattutto, aiutati, che il ciel ti aiuta!
I ventinove fiori se ne stavano stipati nei loro spazi angusti, in un mezzogiorno di maggio, con il sentore d’estate, come accade solo nelle città di mare. Erano lì, con i PC portatili sottratti a parenti e affini, come davanti a marziani, a contemplare tastiere impossibili da scorrere con i pollici e schermi crudeli, insensibili a ogni forma di touch.
Ma ecco giungere l’acme, minaccioso, tremendo, inaspettato: Word.
Richieste disperate mi bombardano da ogni lato:
“Prof, mo’ per andare a capo? Oddio, e le maiuscole?”
Per fortuna si fa avanti il temerario Bryan (scritto Braian): termina la consegna e proclama, con eloquio forte e gentile: “Evvvai! Sssorè, dove sta ‘pubblica’ ?”
Impeccabile: che cognizione può avere Bryan del “salvare un file“?
Le sue operazioni quotidiane si riducono a: Gioca – Snapchatta – Fatti un selfie “lingua fuori, in testa fiori” e condividi.
Tra attimi di panico, furti di invio e segni grafici, le ore scorrono agili, come i pivellini che si disperdono al suono della campanella, capelli al vento, nell’aria dolce e limpida.
Ecco, in tutto ciò di digitale mi sembra che vi siano -letteralmente- solo le dita, con quella motilità e il ticchettio agitato, gap generazionale con il resto del mondo.
Velocità, performance, prestazioni. Si sono pure inventati l’aggettivo “performante”, che mi fa sentire ogni volta come Nanni Moretti in Palombella Rossa, con la voglia irrefrenabile di urlare: “Le parole sono importanti!”.
Eppure, mai come adesso i ragazzi necessitano di recuperare un tempo lento, dilatato. Il tempo della logica, della riflessione. E anche della tecnologia come mezzo “ragionato”, funzionale alla costruzione di un compito.
Altrimenti tutto diviene fugace, alieno e potremmo, prima o poi, assistere alla diffusione di un duplice “analfabetismo”: quello tradizionale (che fatica immane,soltanto nell’impugnare una penna!) e, per l’appunto, quello digitale.