Sono il prof Cretinetti. Ho prestato onorato servizio per dieci anni in una scuola paritaria. Sono sbarcato nella scuola di Stato nel primo anno dell’era della “Buona scuola”. Qui ho visto cose che i miei occhi umani mai avrebbero potuto immaginare…
Smarrito e disorientato, ho deciso di tenere un diario per aiutarmi a comprendere quello che mi sembrava incomprensibile. Non sempre ci sono riuscito, e così le mie pagine potranno risultare politicamente scorrette. Ma tant’è: sono un povero Cretinetti…
IN PRINCIPIO È “L’ACCETTAZIONE DELLA NOMINA”
Il Provveditorato è uno dei luoghi che meglio si avvicinano all’immagine dell’Inferno dantesco: masse informi di anime in pena si assembrano presso i suoi “gironi” (i vari uffici di volta in volta presi d’assalto all’inizio di ogni anno scolastico) in attesa di una chiamata che li indirizzerà al loro destino…
Quando è arrivato il mio turno per la fatidica “accettazione della nomina”, i colleghi (le colleghe) mi guardavano con aria incuriosita: finalmente si era materializzato ai loro occhi quel tale che per anni era stato un fantasma. Scalava la graduatoria senza mai presentarsi agli appelli per le supplenze annuali (le briciole con le quali si sfamano i precari della scuola italiana). Privilegio di chi ha lavorato nel privato!
E POI È “LA PRESA DI SERVIZIO”
E il grande giorno arrivò! Insieme ad altri colleghi neoassunti fui convocato presso un salone del Provveditorato. Non era tanto il vigoroso sole di fine agosto a riscaldare l’aria: era l’emozione di decine di neoassunti in attesa della chiamata. Uno alla volta ci avvicinavamo al grande banco dei funzionari per scegliere la destinazione; a scelta avvenuta, il funzionario con voce solenne la comunicava alla platea.
Ed ecco che mi avvio con gli occhi luccicanti di buone intenzioni verso la scuola che mi accoglierà per il fatidico “anno di prova”: devo presentarmi al Dirigente. La prima impressione è importante, perciò opto per una mise elegantemente sportiva.
Raggiunta la meta, mi attende una sorpresa: la scuola è chiusa, i cancelli serrati, non c’è anima viva. Il solleone di quello scampolo di estate è abbacinante sulle pareti bianche dell’edificio di recente costruzione. Sono smarrito: guardo a destra e a sinistra; finalmente noto un piccolo cartello (un foglio A4 scritto a mano) che recita così: “Il plesso resterà chiuso sino al 31 agosto. La segreteria è in funzione presso l’altro plesso”. Cominciavo a scoprire le meraviglie dell’istituto comprensivo…
SPENDING REVIEW
Uno dei primi comparti ad essere stato interessato dalla spending review (quando ancora non si chiamava così) è stato – come è noto – quello della scuola. Così, a partire dai primi anni del 2000, è cominciato l’accorpamento di scuole e sono nati i famigerati “istituti comprensivi” che costringono dirigenti e segreterie a barcamenarsi su più plessi anche piuttosto distanti fra loro.
Questa è esattamente la situazione della scuola a cui sono stato assegnato. Quando finalmente riesco ad entrare nella scuola dove di lì a pochi gironi avrei dovuto cominciare a insegnare, assisto a questa scena: la bidella – pardon: la collaboratrice – di turno rovescia adirata sulla vicaria di plesso le sue rimostranze perché quest’anno avrebbero dovuto svolgere in tre il lavoro che l’anno scorso svolgevano in sei (altro effetto della spending review…). “Ma io l’ho detto al Dirigente: dove arrivo mi fermo… Oppure mi metto in malattia!” Le fa eco il collega che, invece, si è già ammalato a causa della scuola: solleva la maglietta ed esibisce il
busto che è stato costretto a indossare a causa di un’ernia.
Nella scuola dove presto servizio quest’anno, invece, succede che dopo il primo mese di scuola i due collaboratori scolastici vengano dimezzati sino a metà mattinata; quindi un solo collaboratore deve: aprire la porta, rispondere al telefono, fare le fotocopie, coprire eventualmente le classi al cambio dell’ora…
Se poi uno studente accusa sintomi di febbre e gli si volesse misurare la temperatura, ci sarebbe bisogno di un termometro. Ma nel plesso il termometro non c’è: è stato “accorpato” anche lui, ce n’è solo uno, presso la Direzione. Per farlo arrivare si chiede gentilmente al marito di un’applicata di segreteria, che si trova a
visitare la moglie in ufficio, di portarlo a destinazione.
La “Buona scuola” (oggi come ieri, oggi forse più di ieri) deve molto alla buona volontà (e all’arte di arrangiarsi) del personale scolastico!
Prof. Libero Cretinetti
School runner.
Cretinetti continua così… uno spaccato etnografico dall’interno della scuola che vale più di mille rapporti di ricerca di accademici 🙂
Poteva scegliere di rimanere nel privato e lasciare il posto a qualcuno che magari vedeva anche altro della scuola pubblica. Chissà perché quando arriva anche il vostro turno di entrare nel pubblico, nessuno docente rinuncia e rimane in quell’angolo di paradiso che è la scuola privata. Mi piacerebbe aver letto anche il diario di quei 10 anni lavorativi nel privato, così da valutare la differenza. Esiste comunque una via d’uscita: scrivere una lettera di dimissioni e avere il coraggio di presentarla a chi di dovere. Lei ritroverà la serenità perduta e qualcun’altro guadagnerà un posto di lavoro di 18 ore settimanali.