Ancora una volta, gli sciacalli stanno sfruttando la situazione di emergenza per trarre personali vantaggi di natura economica. Solo ieri, la notizia di un dipendente dell’Asl di Parma che aveva rubato dal posto di lavoro e venduto al mercato nero le mascherine, i gel disinfettanti e i guanti in lattice. Oggi, invece, un altro caso. Questa volta, non vengono coinvolti il disinfettanti o la mascherina – prodotti che nelle ultime settimane sono letteralmente andati a ruba – ma il tampone. Proprio il test attraverso cui si ricerca la presenza del virus.
In effetti, i carabinieri del Nucleo Antisofisticazione e Sanità coordinati dal colonnello Vincenzo Maresca hanno fatto una scoperta sconcertante. A causa dei vari episodi legati alla speculazione, negli ultimi giorni, i militari sono impegnati in una serie di attività di controllo. Il controllo a campione, dunque, è spettato anche a dei laboratori di analisi.
I carabinieri hanno rilevato che, in alcuni di essi, venivano venduti dei test rino-faringei, attraverso cui è possibile verificare se la persona sia positiva o meno al coronavirus. Non solo ogni tampone veniva venduto a cifre tra i centoventi e centocinquanta euro l’uno, ma i dipendenti si recavano anche al domicilio dei pazienti per effettuare il test.
Insomma, si è trattata di una questione del tutto non conforme alle norme. Per poter eseguire e vendere dei tamponi è, infatti, necessario ottenere la preventiva autorizzazione da parte delle Autorità sanitarie competenti. Ovviamente, i laboratori di analisi sottoposti al campione non le avevano. Per questo motivo, gli agenti stessi hanno inibito l’attività.