Lo scrittore Alessandro D’Avenia condivide con i propri lettori lo sfogo di una docente che si è sentita umiliata durante il concorso ordinario secondaria.
L’insegnante è stata costretta a fare i calcoli sulle braccia. Inutilmente, perché alla fine è stata bocciata.
“Comincio a scrivere sulle braccia: dopo cinque esercizi non ho più spazio. Non ho più parti del corpo scoperte da segnare. Svolgo il test smarrita e umiliata. Ma cosa siamo? Un concorso svolto sul corpo?” racconta.
“Finisce il tempo. Il tecnico d’aula verifica i risultati: tutti bocciati. Il presidente di commissione commenta: «Non mi è mai capitato un concorso in cui in 2 giorni ci siano zero promossi” conclude.
D’Avenia commenta l’episodio sul Corriere della Sera: “Questa lettera, una delle tante ricevute in queste settimane di concorsi, mostra come, nel nostro sistema di reclutamento scolastico, manchi proprio la «politica»: sono assenti la tecnica (test inadeguato a reclutare un professionista dell’educazione) e la cura (costrizione a scrivere sul proprio corpo). L’agire politico è sostituito da quello burocratico“.
“Un modo di governare corpi e anime inaccettabile a cui non ci ribelliamo forse perché non riusciamo più a farlo, presi come siamo dalla sopravvivenza. Ipnotizzati da una comunicazione centrata sul perenne stato di emergenza (pandemia, guerra…) che imprigiona nella paura anime e corpi, non curiamo ferite incancrenite: burnout dei docenti, precariato abnorme (20% dei docenti), numero di concorsi illegale (dal 2000 solo tre: per legge dovrebbero essere triennali), abbandono scolastico al 15%, scarso benessere degli alunni a scuola (il 75% dice di star male a scuola), edilizia scolastica inadeguata…” continua.
“Questo governo, essendo più o meno trasversale, avrebbe potuto occuparsi del sistema scolastico portando a termine riforme su cui ci dovrebbe essere un «consenso» derivante dal «buonsenso», a prescindere dal colore politico: riforme che riguardano circa dieci milioni di persone (1 milione tra docenti e collaboratori e 9 milioni di ragazzi), un sesto della popolazione che ha bisogno di «cura»” conclude.