Sia il report della Randstad Italia e sia quello della Fondazione Sodalitas hanno posto in evidenza come molti studenti non abbiano sviluppato le competenze digitali richieste espressamente dalle indicazioni nazionali.
Quindi, da questa analisi, la scuola risulterebbe non essere capace di far conoscere e far apprendere tutte quelle competenze digitali che sono di fondamentale importanza per riuscire a trovare spazio nell’attuale mondo del lavoro.
Ma, a quanto pare, di fronte a tale evidenza, sembra, pare che il Miur sia corso ai ripari, stanziando centoquaranta milioni di euro al fine di permettere che gli istituti scolastici abbiano i fondi necessari per la creazione di ambienti digitali idonei all’apprendimento.
Di fronte a un tale pullulare di notizie, risulta ovvio il domandarsi il dove l’uso di queste moderne tecnologie vengano ad essere imparate.
Randstad Italia e la Fondazione Sodalitas, tramite una apposita ricerca denominata “’Generazioni digitali al lavoro” hanno evidenziato che quasi il sessanta per cento dei ragazzi intervistati, reputi che si sviluppino le dovute competenze digitali o in autonomia, oppure sul posto di lavoro direttamente.
Se poi si viene a sapere che solamente uno scarso trentacinque per cento considera che questo si impara a scuola, pare sufficientemente chiaro che la preparazione tanto degli insegnanti quanto quella dei professori, non sia per nulla in sintonia con quanto il mercato del lavoro oggi richiede.
Il lavoro prodotto da Randstad Italia e dalla Fondazione Sodalitas, ha visto la partecipazione di oltre duemila under 35, e con una prevalenza di un campione maschile.
È, poi, interessante osservare che gli intervistati in possesso di diploma sono stati il 54,8%, mentre quelli con laurea sono stati il 36,3%, mentre per ben oltre l’ottanta per cento dei casi i soggetti intervistati o erano al lavoro o avevano avuto, perlomeno, all’attivo una esperienza lavorativa.
Il proficuo lavoro di ricerca svolto da questi due noti enti, ha messo anche in luce come l’utilizzo di specifici programmi tecnici, l’impiego dei social network per scopi professionali e l’utilizzo del pacchetto Office unitamente alla navigazione in internet, siano le competenze digitali per le quali i giovani sono convinti di possedere maggiormente le competenze necessarie, oltre che reputarle tra le maggiormente vitali al fine di poter accedere al mondo del lavoro con successo.
La metà degli studenti, inoltre, considera di avere una dimestichezza con l’Internet delle cose e il Cloud, mentre, di contro, risultano essere ancora scarsamente conosciute attività quali Analytics e Coding.
Questi dati raccolti con scrupolosa disciplina e attenzione, accendono i riflettori su un ritardo cronico entro il quale la scuola italiana sembra dibattersi eternamente.
Situazioni allarmanti e preoccupanti che hanno, successivamente, dei costi supplementari. Infatti, al fine di colmare questo divario tecnologico o i singoli soggetti o le strutture aziendali, debbono accollarsi le spese per annullare il gap esistente.
Visto che la scuola non fornisce nozioni sufficienti, in pratica, un qualsiasi imprenditore dovrà poi provvedere a proprie spese a ripianare tale situazione. Ma oltre ad un costo economico, vi è anche da valutare i riflessi sulla stessa produttività.
Si spera che effettivamente il Ministero per l’Istruzione si sia reso conto della drammatica situazione e che con lo stanziamento di centoquaranta milioni di euro, si possa effettivamente avere una scuola e una Università in grado di fornire una adeguata preparazione, a riguardo le necessarie competenze digitali, alle future generazioni.
Articolo interessante, il quadro è allarmante, però siamo sicuri che basti introdurre l’informatica a scuola per risolvere?
Premesso che il metodo d’insegnamento ( e tutto il pacchetto scuola digitale) solleva molti dubbi, una considerazione fa sorridere: su circa 50000 scuole in Italia stanziare centoquaranta milioni di euro vuol dire dare a ciascun istituto meno di 3000€. Cosa ci fanno, comprano un computer per 500 studenti?