Al giorno d’oggi, parlare di “coding” è, in un certo senso, come voler ridurre la cultura del digitale a mera manualità dello scrivere codice, con l’obiettivo di produrre pigia tasti a cottimo, ovvero lavoratori con basse skills e quindi a basso costo, facilmente intercambiabili.
Tutti impazziscono per il “coding”, perché pensano che possa garantire un lavoro per il futuro. È assurdo pensare di voler scindere il codice dalla programmazione, ovvero, dalla comprensione del mondo.
Fondamentalmente, chi lo fa, lo fa per due motivi: ignoranza o malizia.
Farlo per ignoranza non è una colpa, cosa diversa è quando lo si fa per malizia, in questo caso è una colpa, e grave.
Non di rado si parla di “coding” per moda o per ignoranza: zero competenze e conoscenza dell’informatica da telefilm. Purtroppo questo rispecchia il livello di competenza non solo di molti docenti, ma addirittura della nostra stessa classe dirigente.
In realtà, l’informatica non è il codice, piuttosto è la comprensione del problema, grazie alla quale è possibile la scrittura. È assolutamente sbagliato pensare “scrivo un po’ di codice per risolvere un problema”. Ancor prima di arrivare al codice, bisognerà comprendere, analizzare, formalizzare un problema, e questo può richiedere anche molti anni di studio.
Soltanto in un secondo momento, sarà la volta di cercare come, quello stesso problema, è stato risolto da altri prima di noi e capire se parte della loro soluzione potrà essere adottata anche per il nostro problema.
Ovviamente, bisognerà considerare tutti i possibili vincoli imposti alla propria soluzione, basandosi esclusivamente sul contesto nel quale si opera: non solo tempi, risorse, costi, ma anche potenziali conflitti con altri programmi già in uso e tecnologie esistenti.
Terminata questa fase, finalmente sarà il momento di occuparsi solo del “codice” e di tutti i problemi che la sua scrittura comporta.
Ritenere il codice un obiettivo e non un mezzo, proprio come se fosse un punto di partenza e non di arrivo, è davvero il peggiore dei modi per avvicinare i ragazzi all’informatica.
Così facendo, si darà loro la percezione che le cose siano semplici, o addirittura banali e divertenti. Che non occorra informarsi, concentrarsi o imparare altro, oltre quello che le dita devono semplicemente limitarsi a scrivere.
Al contrario, chi ha una minima esperienza di software sa bene che, dietro ogni singolo minuto di digitazione, c’è ben un’ora di studio.
Abituarli al “coding”, a questa sorta di “faciloneria tecnologica”, altro non è che un insulto, non solo alla loro capacità di apprendere, ma soprattutto, alla loro intelligenza. È sminuire il loro apporto in termini di creatività ed invenzioni. Anche se si hanno di fronte gli stessi problemi, le soluzioni possono evolvere.
Non ha alcun senso produrre finte soluzioni, con la scusante che tanto poi ai dettagli ci penserà chi è più tecnico.
Nella nostra società, altamente complessa, non può più esistere che un certo livello tecnico possa venire trascurato o affidato a chiunque altro.
Il semplice pigia tasti, immagine speculare del dirigente che non ha assolutamente alcuna competenza in fatto di informatica, non vede quello che c’è oltre il computer.
La programmazione (e non la mera attività di coding), in realtà, rappresenta il quarto pilastro dell’istruzione dopo la lettura, la scrittura e la matematica.
Se l’ignoranza non è una colpa, lo è invece la malizia, quella di chi parlando di “coding” riduce la cultura del digitale a pura manualità dello scrivere codice.
L’obiettivo è creare lavoratori a bassa specializzazione, meri pigia tasti, proletari del XXI secolo che saranno così tanto impegnati nel lavoro, da non rendersi conto che il loro lavoro è tenuto in vita soltanto come pacificatore sociale.
Ci troviamo di fronte a un cambiamento tangibile. La maggior parte dei lavori manuali, e che non richiedono chissà quale specializzazione, può essere fatta dai robot, in modo economicamente molto più vantaggioso.
Giornalista, medico generico, avvocato, sono lavori destinati a morire nei prossimi anni, già adesso iniziano a vacillare.
Di contro, le competenze del digitale, che richiedono continuo aggiornamento e formazione non sono per tutti, a maggior ragione per i sedicenni che pensano “ingenuamente” di avere già abbastanza formazione.
Oltretutto, anche i lavori del digitale stanno registrando un vertiginoso calo. Nessun settore sarà immune dall’automazione.
Basti pensare che il colosso Google, per l’intera infrastruttura IT nel Nord America, conta solo una ventina di tecnici. Amazon, in un sol colpo, ha assunto soltanto diecimila magazzinieri, ma sono tutti robot.
I robot fanno un po’ di tutto: meccanico, magazziniere, receptionist, ecc. L’intelligenza artificiale pilota treni e aerei, gestisce il servizio clienti, decide le politiche dei prezzi, e tanto altro ancora.
In tutto questo, come si può pensare di parlare delle potenzialità del “coding”? Digitare codici non può di certo aprire la strada a chissà quali destini!
Liberamente ispirato da: www.techeconomy.it/2016/03/16/contro-il-coding/
Quando leggo critiche al codyng ripenso alle esperienze di in questi anni sia nella pedagogia speciale che nella didattica comune e trovo che le obiezioni siano a prescindere, avulse dal contesto fatte per l’urgenza di ridestare le coscienze assopite che provano senza riflettere qualche tecnica nuova. Aveste avuto tanta dedizione per la tanta matematica volgare che gira nelle scuole avreste davvero arginato deriva pericolose e provo brevissimamente a spiegare anche qui un paio di questioni.
I nativi digitali hanno un’approccio che la scuola deve assumersi il compito di istruire ed educare, parliamo di attivismo e partecipazione ma nella pratica conviviamo con generazioni che subiscono il virtuale invece di inventarlo.
In una scuola interculturale il code favorisce il potenziamento cognitivo in lingua madre che ad oggi non trova altre possibilità ome dimostra la piattaforma di scratch.it
La varieta’ sul mercato della roboticà per trasformare quest’esperienza di programmazione in un laboratorio di creativita’pratico divertente ed illuminante e’ una sapere che andrebbe diffuso, non censurato.
Mi piacerebbe sapere chi ha scritto questo articolo e quali competenze abbia. Il coding a scuola NON viene presentato solo come “programmazione”, i percorsi sono creati per insegnare ai bambini PRIMA DI TUTTO a scomporre i problemi più complessi in problemi più semplici. Questo paragrafo che pare voglia criticare il coding alla primaria in realtà descrive quello che si fa:
“In realtà, l’informatica non è il codice, piuttosto è la comprensione del problema, grazie alla quale è possibile la scrittura. È assolutamente sbagliato pensare “scrivo un po’ di codice per risolvere un problema”. Ancor prima di arrivare al codice, bisognerà comprendere, analizzare, formalizzare un problema, e questo può richiedere anche molti anni di studio.
Soltanto in un secondo momento, sarà la volta di cercare come, quello stesso problema, è stato risolto da altri prima di noi e capire se parte della loro soluzione potrà essere adottata anche per il nostro problema.”
Ovviamente è un avvio al pensiero computazionale, nessun insegnante alla primaria mira a insegnare ai bambini a “programmare”.
Il coding per noi E’ IL MEZZO non il fine.
Credo che prima di fare affermazioni come quelle nel titolo ci si debba informare con scrupolosità.
Beata ignoranza e faciloneria di giudizio!
Chi ha scritto l’articolo o ci è o ci fa. Coding, cioè codificare delle istruzioni per risolvere problemi, è quanto di più elevato si possa insegnare e l’approccio giocoso iniziale non deve illudere. Il concetto di “cultura” è cambiato proprio grazie alla potenza di calcolo e di memorizzazione dei computer. Alle nuove generazioni non serve affaticare la memoria con le vuote nozioni tanto care agli umanisti. Tutto quel sapere è alla portata di una ricerca con Google. Quello che invece, per ancora molto tempo sarà attuale è la capacità di analizzare i dati di un problema per pianificarne l’algoritmo (cioè la sequenza di istruzioni (finite e non ambigue) per risolverlo. Questo, caro il mio ignorantone, è il coding, non una banalità alla portata di tutti e tanto meno un lavoro da manovali. Scrivere il codice segue una precisa sintassi, il che lo eleva ad ogni altra lingua nota, dall’inglese (la più viva e dinamica) al greco e al latino (le peggio organizzate e, non solo per questo, morte e sepolte). Sarebbe ora di capire che la matematica e tutte quelle scienze che su di essa si basano, come ad esempio l’informatica, sono le uniche discipline destinate a sopravvivere: quelle che non possono ridursi ad un mero sforzo mnemonico, ma che necessitano di applicare la logica del ragionamento scientifico…
Machettelodicoaffà?