Per alcuni bambini studiare risulta essere una cosa particolarmente facile, per altri invece sembra essere un ostacolo insormontabile. Problemi con i calcoli, col la lettura o con la scrittura: questi sono i bambini con i disturbi specifici dell’apprendimento.
Per quanto riguarda il fenomeno della discalculia, si è verificato un vero e proprio boom delle diagnosi se ci si ferma a paragonare il 2014 con il 2018: 33.257 contro 62.877.
Secondo Christina Bachmann, psicologa e responsabile del Centro Risorse di Prato, questi numeri sarebbero addirittura sottostimati. Afferma infatti che la scuola ancora conosce molto poco questa tipologia di disturbo. Dal 2010, la legge 170 tutela questi ragazzi, consentendo anche l’utilizzo di alcuni materiali di aiuto nel corso delle verifiche. In questo modo viene facilitato l’apprendimento, puntando però sempre ai medesimi obiettivi.
Questi ragazzi studiano e si applicano come tutti gli altri, solo che riscontrano una maggiore difficoltà nell’apprendimento. E spesso la colpa è imputabile agli insegnanti. Secondo alcuni infatti, i docenti avrebbero come metro di paragone solo la valutazione. Oltre a ciò, spesso non si hanno le competenze per affrontare questa problematica.
Il pedagogista Daniele Novara però ci mette in guardia sui casi di falsa diagnosi: “Il tema delle false diagnosi non è un pericolo, è un dato oggettivo: sono tanti i genitori che cercano di ricorrere al riconoscimento del disturbo per “salvare” il figlio da una bocciatura. È un rischio perché si appiccicano delle etichette e si mette il freno a mano alla motivazione degli alunni”.
Maddalena Caltagirone, laureata in Biologia e con una cattedra in matematica alla scuola media di Milano, spiega di come si sentiva “strana” da piccola. Ha scoperto solo da adulta di essere discalcula: “Da piccola non comprendevo perché gli altri studiando meno di me andassero bene a scuola. Io ho sviluppato la capacità di usare le dita di nascosto, strategia che mi è utile ancora oggi. Penso che una diagnosi sia importante per non sentirsi “strani”, distratti; ma non bisogna “attaccarsi” alla diagnosi. Meglio cercare di mantenere allenate le capacità e le strategie che si sono conquistate: il cervello di un bambino è quasi sempre in grado di compensare”.
La docente spiega però di come sia cambiata la valutazione generale in quest’ambito: una volta si veniva chiamati “asini”, ora invece si guarda oltre.