Si fa presto a dire fannulloni, privilegiati, tre-mesi-di-vacanza (magari: ormai non più, da tempo).
Confesso di averlo pensato anch’io, da alunna, quando i professori mi sembravano creature ineffabili, nella visione di un’adolescente ribelle, studentessa eccellente, che tuttavia odiava la scuola. Me li immaginavo, al sole della mia città, al mare, in bicicletta, a passeggio, allo stadio, a fare shopping con i figli, mentre i miei genitori, dipendenti privati, rientravano a sera, aspettando tutto l’anno le sospirate “ferie d’agosto”.
Era davvero un’altra epoca, eppure quei docenti godevano di uno status incontrovertibile. Nessuno avrebbe mai osato metterli in discussione o ridicolizzarli, bollandoli come scansafatiche, aguzzini, nati per turbare l’idillio delle famiglie mulino-bianco, riempiendo di compiti ogni vacanza, comminando bocciature inique, lasciando ragazzini indifesi in balia di bulli o bullizzandoli loro stessi.
Purtroppo questa percezione diffusa, alimentata, rinforzata anche da una parte dell’informazione è ormai radicata.
Intanto mi accorgo che anche oggi sono entrata a scuola alle 7:50 e ne sono uscita alle 20:00. Talora pure le domeniche si riempiono di carte e progetti. Le verifiche da correggere si accumulano sulla mia scrivania come api sul miele. Se poi accetti qualche incarico, non per il compenso (miserrimo), ma per spirito di servizio, o ancor peggio, per amore della professione, puoi dire addio al tempo libero.
Per carità, non voglio confermare altri luoghi comuni, tipo quello dei docenti lamentosi: adoro insegnare, non mi risparmio mai e quando sono in classe, con i miei alunni, anche i più difficili, vivo il mio unico, autentico, irrinunciabile “privilegio”.
Basterebbe recuperare un po’ di stima sociale e “far emergere” il sommerso che ci portiamo ogni giorno a casa, stipato nelle nostre borse pesanti e nelle nostre teste, sempre in moto per cercare nuove strade e strategie. Basterebbe riconoscere che abbiamo un ruolo delicato, una mole di responsabilità incalcolabile, nell’alveo di una società sempre più diffidente, nevrotica, complessa. Tutto questo a fronte di uno stipendio tra i più bassi d’Europa.
Con elargizioni una tantum (vedi bonus meritevoli) che sembrano tagliate ad hoc per fomentare il “divide et impera” di cui soffre, storicamente, la categoria.