Particolarmente preoccupante il tasso di dispersione scolastica che si registra nel Sud Italia. Secondo uno studio condotto dalla Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, nel Sud e nelle isole sono circa 300 mila (299.980) i giovani che abbandonano gli studi.
Un dato che preoccupa molto. In Italia infatti sono quasi 600mila i giovani che lasciano gli studi, arrivando ad ottenere al massimo la licenza media. Nel sud Italia il 18,4% dei giovani abbandonano gli studi, mentre nelle zone del centro Nord il dato si assesta sul 11,1%.
Dallo studio inoltre emerge che i maschi siano più inclini ad abbandonare l’istruzione: al Sud Italia sono addirittura il 21,5%. Nonostante l’abbandono degli studi, nel Nord si registrano comunque un maggior numero di occupati (42% contro il 22% del Sud Italia).
Considerando una fascia di età più ampia del Sud, si nota come i ragazzi tra i 20 ed i 24 anni abbiano un tasso di scolarizzazione inferiore causato dal persistente abbandono scolastico.
La Svimez si esprime così: “Permangono forti divari all’interno del sistema scolastico meridionale anche sul piano della qualità dell’apprendimento. I dati più allarmanti riguardano i due estremi del sistema formativo: gli asili nido e l’istruzione superiore. Per quanto riguarda gli asili nido, sul dato incide molto la disponibilità di servizi per sostenere le famiglie, che nel Sud sono precari e inefficienti. A cui si aggiunge una carenza di asili nido pubblici e un alto costo di quelli privati”.
E quindi prosegue: “Particolarmente preoccupante è che, se quasi un quarto dei giovani italiani non raggiunge la soglia di competenze minima per entrare a far parte della società a pieno titolo, nelle Regioni meridionali questa percentuale arriva attorno a un terzo”.
Il Presidente Mattarella non è rimasto indifferente, e dunque si è espresso in merito alla situazione: “Per una crescita del Paese è indispensabile l’apporto della scuola, dell’università, della formazione, della ricerca. La crescita delle conoscenze è sempre stata un vettore di sviluppo, oggi forse lo è più che in ogni altro momento della storia”.