Il sistema didattico, oggi, sembra considerare l’alunno come un contenitore vuoto da riempire con nozioni e “oggetti” culturali. Niente di più sbagliato: i bambini sono portatori di nozioni, idee e valori, criteri di valutazione ed esperienze già quando arrivano a scuola per la prima volta. Estremizzando, già dalla nascita.
Un sistema che non tiene conto del vissuto dell’alunno, va rivisto e cambiato, perché non soltanto sbaglia l’approccio alla didattica, ma non sarà mai in grado di sfruttare al massimo le potenzialità del discente.
Il bambino non è una lavagna nuova, non possiamo prendere un gesso e cominciare a scrivere. Al contrario, il punto di partenza dovrebbe essere l’ascolto, la comprensione delle specificità dell’alunno: partire da qui per costruire insieme un percorso e sviluppare attitudini e competenze personali.
Ancora di più quando parliamo di bambini di origine straniera o disabili, perché hanno maggiori difficoltà, spesso un modo di pensare più lontano rispetto al nostro o a quello con cui siamo abituati a lavorare.
Insomma, la scuola dovrebbe valorizzare le differenze, non cercare di appiattirle rozzamente come uno schiacciasassi.
Tutto questo non significa andare contro il principio di scuola dell’uguaglianza, al contrario: valorizzare la diversità è importante per preparare i ragazzi al mondo complesso e articolato che li aspetta, non soltanto per aiutarli a riconoscere le proprie caratteristiche, i propri talenti.
Un sistema scolastico che ignora tutto questo, non fa altro che acuire il divario sociale, il conformismo di pensiero e l’analfabetismo.
La scuola dell’uguaglianza è giusta sotto la lente della legge, ma dal punto di vista della didattica occorre ripensare per esempio alla formazione degli insegnanti, rivalutare l’impostazione culturale di un sistema che potrebbe funzionare meglio. Che potrebbe funzionare e basta, in molti casi.