Cara Ministra Fedeli, oggi tutte le principali testate nazionali riportano la notizia che lei ha definitivamente sdoganato la presenza degli smartphones in classe: da quest’anno sarà possibile tenerli e usarli in classe, purchè in ottemperanza ad una serie di linee guida stilata da una commissione di esperti che lei hai già messo al lavoro.
Io non so che cosa le diranno i suoi esperti. Ma anch’io, che qualche esperienza nel settore ce l’ho, le vorrei dire alcune cose.
Sono contrario a questa idea.
I nostri figli vivono ormai dentro i loro schermi e i genitori fanno sempre più fatica a fornire cornici chiare e regole di utilizzo. Ci sono bambini e bambine che non si tolgono mai di mano il telefonino. Lo controllano ossessivamente, anche quando dentro non c’è niente che vanno cercando. Semplicemente, come se fosse un tic, si perdono dentro senza fare null’altro. Chi, come me, incontra genitori per mestiere e affronta questioni educative, sa quanto bisogna dire e ribadire a madri e padri che non ci sarà mai una zona franca dalla tecnologie nella vita di un figlio, se un genitore – quella “zona franca” – non l’ha pensata, presidiata, verificata e rinforzata nella propria famiglia, nella vita dei propri figli e prima di tutto naturalmente nella propria vita.
Sempre meno mamme e papà sanno fare questa cosa. Secondo me, moltissimi, oggi, hanno bisogno di sentirselo dire e ribadire.
Qualcuno, andando controcorrente, ha tenuto duro, proprio approfittando del fatto che c’è la scuola, che c’è da studiare, che c’è da avere attenzione e concentrazione quando ci si applica su compiti cognitivamente impegnativi. Ora lei annuncia alla nazione che lo smartphone: “è uno strumento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata”. Sa che questo è un concetto che bambini e bambine, ragazzi e ragazze dicono spesso a mamme e papà, quando ci provano a far sì che almeno il tempo dello studio diventasse una zona “tech-free” (libera dalla tecnologia) nella vita dei figli.
“Mamma io devo tenere vicino il cellulare perché i compiti li hanno pubblicati online, perché con i miei compagni abbiamo fatto un gruppo whatsApp e studiamo insieme”. Ora potranno aggiungere: “l’ha detto anche la Ministra della Scuola”.
Ho parlato con centinaia di docenti in questi anni: so quanta fatica hanno fatto a elaborare una regolamentazione intorno all’uso dei cellulari a scuola. La gran parte di loro ha optato per mettere regole molto restrittive. Nessuno dei mie quattro figli, per esempio, può usare il cellulare in classe. E io penso che questa regola sia sacrosanta. “Per fortuna” – mi dico spesso – “che almeno la scuola ancora fornisce ai ragazzi la consapevolezza che ci sono luoghi della vita dove è necessario stare concentrati sul volto dell’altro, mettere lo sguardo dentro lo sguardo di chi ci sta intorno, dove ascoltare e fare attenzione a chi parla non avviene in contemporanea con una serie di altre infinite funzioni (controllare le mail, facebook, i vari profili sugli altri social, le ultime news di sport e chi più ne ha più ne metta) in modalità multitasking”. Tra l’altro, come lei certamente ben sa, le neuroscienze hanno in più occasioni dimostrato che la modalità multitasking –applicata ai compiti di studio, apprendimento, attenzione e concentrazione – invalida parzialmente e riduce la qualità dei risultati che vengono raggiunti.
Di recente sono stato ad un matrimonio celebrato in comune. Ho osservato le persone. Gli sposi assistevano al rito, mentre molti dei loro invitati invece stavano assistendo a varie cose che succedevano all’interno degli schermi dei loro cellulare. Ho partecipato anche ad un matrimonio in chiesa, sempre di recente: le persone partecipavano al rito. Non è che non avessero i cellulari in tasca: però percepivano che in quel luogo era più conveniente non farne uso. Così, sono rimasti concentrati sul rito delle nozze e credo che abbiano condiviso con gli sposi una partecipazione emotiva decisamente più intensa ad un evento tanto importante.
Cosa intendo dirle con questo esempio? Che la scuola, oggi, dai nostri figli è tuttora percepita come un luogo dove le relazioni, l’autorevolezza degli adulti, le regole, il guardarsi negli occhi hanno un valore più grande di ciò che succede nei loro social. Forse questa cosa la subiscono un po’, i nostri figli: se fosse per loro, non la sceglierebbero in prima istanza.
Però, io sono davvero grato che ancora esista qualche luogo, dove il cellulare non può interrompere nulla di ciò che sta succedendo nel qui ed ora della vita reale. Dovrebbe essere così anche in molte altre situazioni (cinema, teatro, chiesa, conferenze, eventi importanti), ma è sotto gli occhi di tutti che la gran parte di noi ha abdicato in questo senso. Così capita a teatro che una scena drammatica venga interrotta da uno squillo in terza fila, oppure che nel corso di una conferenza le persone ascoltino con un orecchio il relatore e con l’altro parlino al telefono con un amico, incuranti del disturbo che recano alle persone vicine.
E capita anche che nelle nostre case, sempre più persone non siano capaci di condividere un pasto, di fare una conversazione approfondita con un famigliare, di ascoltare i racconti di un nonno, di raccontarsi una barzelletta senza dare un occhiata al messaggino (o ai tanti messaggini) che continuano ad arrivare sullo schermo dello smartphone parcheggiato di fianco alle posate o posizionato vicino al libro di scuola.
Da anni, alcuni specialisti che si occupano di prevenzione e relazione genitori/figli incontrano i genitori e parlano con loro affinchè sentano la necessità di costruire un progetto educativo intorno all’uso delle tecnologie in famiglia. E spesso il messaggio più importante che lasciano alle famiglie è: “riducete, eliminate, disintossicate la presenza dell’online nella vostra esistenza. Perché voi pensate di saperla controllare….e invece ve ne trovate controllati. Sempre di più.”
Per questo, la notizia dello sdoganamento degli smartphone nelle aule scolastiche dei nostri figli mi trova contrario. E mi preoccupa. Le nostre scuole hanno già LIM e aule informatiche. Gli apprendimenti che devono avvenire usando la potenzialità del web possono usufruire di strumenti diversi dallo smartphone personale. Se può ci ripensi.
So di non parlare a nome di tutti i genitori di Italia. So che alcuni considerano le mie idee, i miei libri, la mia posizione “fuori dal tempo”. In effetti, a volte anche i miei quattro figli, quando metto limiti, regole e confini alla loro permanenza nell’online e ai tempi dei loro videogiochi, mi danno del “preistorico”. Ma in questi anni ho incontrato tanti altri genitori preistorici. E alcuni che lo stanno diventando, dopo aver constatato come la vita dei loro figli sia cambiata drasticamente – e in peggio – una volta che hanno avuto uno smartphone tra le mani.
In particolare, mi sta a cuore la sorte dei preadolescenti, che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Ho spiegato in lungo e in largo il perché le tecnologie li rendono particolarmente vulnerabili all’interno dei miei due libri: “Tutto troppo presto” e “L’età dello Tsunami”. L’ho fatto partendo dalle evidenze che le neuroscienze ci hanno fornito negli ultimi 20 anni, in relazione allo sviluppo del cervello in preadolescenza e prima adolescenza. Almeno per queste fasi dell’età evolutiva continui a mantenere in modalità “off” i loro smartphone. Glielo chiedo come esperto. Ma prima di tutto come papà.
Alberto Pellai