Se vi chiedessimo di fare mente locale e di rievocare il fanciullo che è in voi, ricordando un insegnante che vi è rimasto nel cuore, probabilmente non fareste fatica a riportare un nome in particolare. O, se siete stati fortunati, anche più di uno.
Volti, parole, lezioni: tutto diventa nitido. Un bravo insegnante non si dimentica, poiché chi è in grado di educare mente e cuore lascia in noi un segno che va al di là dei meri contenuti trasmessi.
Un buon insegnante trasmette molto più di quello che possiamo credere. Tra gli eroi dei bambini, oltre ai genitori e ai personaggi di fantasia, ci possono essere anche gli insegnanti, i quali occupano un posto molto importante nella loro vita.
“La scuola è il tempo della formazione e la formazione della nostra vita è il risultato degli incontri che abbiamo fatto. Nella scuola avviene il processo di formazione e la scuola è il luogo degli incontri, in primo luogo tra generazioni, poi tra famiglia ed istituzioni e ancora di incontri d’amore, i primi. Questi incontri possono essere cattivi o buoni” spiega il Prof. Massimo Recalcati, tra gli psicoanalisti più noti d’Italia.
Durante una conferenza organizzata dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Valle d’Aosta, e patrocinata dall’Assessorato Istruzione e Cultura, dal titolo “Insegnanti che non si dimenticano – Un contributo della psicologia alla difficile arte dell’insegnare”, Massimo Recalcati rievoca il suo cattivo incontro nel periodo in cui frequentava la scuola elementare: era il 1968 e la sua maestra generava terrore, non autorità. L’omologazione era la parola chiave del suo insegnamento: la maestra diceva ai propri alunni che erano viti storte e che suo compito era quello di raddrizzarle.
“Il cattivo incontro chiude il mondo, tutti devono essere uguali e pensare nello stesso modo, il cattivo incontro genera violenza, non dobbiamo avere nostalgia di questo modello di scuola” dice ancora il Professore.
Fortunatamente, esistono anche incontri buoni che avvengono nella Scuola. Recalcati ricorda con gioia l’8 marzo del 1976, giorno in cui l’insegnante Giulia entra nella sua vita e la cambia per sempre.
“In una scuola di estrema periferia milanese, per soli maschi il cui destino era quello di andare a lavorare la terra, arrivano questi occhi grandi e si inizia a parlare di poesia, di letteratura. Un buon incontro genera trasporto e l’esperienza di mondi che si aprono e si moltiplicano”.
“Un insegnante deve fare il suo mestiere, non deve riempire una zucca vuota e non deve educare in senso stretto, ma deve far diventare la scuola una luce che apre i mondi, non solo al sapere, per quanto importante, ma deve creare curiosità del sapere, desiderio, ed è così che si crea il miracolo della didattica, ovvero il libro diventa un corpo, che ha un profumo, un volto” suggerisce lo psicologo.
Se l’insegnante riesce in tale impresa, trasformerà i suoi studenti in amanti e diventa “erotica della didattica”, per cui l’amante desidera conoscere, sapere, sondare, e qui si ha il primo miracolo della scuola, in cui i libri diventano corpi. E continua: “Quando l’insegnante spiega bene quello che sa è cultura, e se c’è cultura e i libri sono corpi, i corpi saranno libri e quindi come tali saranno trattati, con pazienza, attenzione, cura, amorevolezza e dedicando il giusto tempo. Questo è il secondo miracolo della scuola”.
“Si guarda indietro apprezzando gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana.”
-Carl Gustav Jung-
ho insegnato inglese dipingendo i muri scrostate e unte delle classi assieme ai bimbi. “Ognuno si adocchi una macchia o una scrostazione. Poi racconti a tutti a che cosa assomiglia”. ” Un elefante! Un cane! Una giraffa! Un orso!” La faccia cattiva di…” e fu così che con acquerelli in mano le pareti diventavano improbabili zoo e savane e foreste con ogni specie di animali, uccelli, corsi d’acqua e pesci e mari e delfini e aquiloni tra le nuvole. Per magia diventavano tutto quello che i bimbi volevano strettamente parlato e raccontato con tutto l’inglese del caso.
L’ho scritto. Non l’avete pubblicato. Il mio entusiasmo l’avete bocciato subito così?!