In Giappone, non di rado, capita di vedere bambini soli sui mezzi di trasporto, in cerca di un posto a sedere. Sono bambini di circa sei o sette anni, indossano calzettoni corti, pullover a quadri e scarpe in vernice; ogni giorno si spostano da casa a scuola, e da scuola a casa, senza alcuna forma di controllo da parte di un adulto, con il solo abbonamento della metropolitana ben in vista e attaccato allo zainetto.
Secondo l’antropologo culturale Dwayne Dixon, più che di autonomia e indipendenza, si tratta piuttosto di “dipendenza dal gruppo”. E’ un modo per insegnare loro che possono chiedere aiuto rivolgendosi a qualsiasi adulto della comunità.
Anche la stessa scuola rafforza questo presupposto: a turno, i bambini, oltre che a pulire, servono il pranzo; in questo modo, la fatica viene suddivisa tra più bambini e le aspettative ruotano: tutti sapranno, ad esempio, cosa significhi pulire un bagno.
Ovviamente, una mamma non permetterebbe mai al suo bambino, in così tenera età, di prendere da solo la metropolitana né a New York, né a Londra, ma a Tokio sì.
I bambini, mediante l’assunzione di responsabilità degli spazi condivisi, capiscono le conseguenze se fanno disordine, considerato che poi dovranno pulire da soli. Questo forte senso etico si estende anche agli spazi pubblici; le strade giapponesi sono, infatti, molto pulite.
Andando in giro per la città, i bambini sanno di poter contare sulla comunità, in caso di necessità ed emergenza possono chiedere aiuto al gruppo.
In Giappone, i pedoni hanno assoluta precedenza, il tasso di criminalità è particolarmente basso, c’è la cultura degli spostamenti a piedi o con i mezzi pubblici, inoltre, gli spazi urbani sono a misura d’uomo, il che contribuisce a tenere sotto controllo velocità e flusso: queste sono le principali motivazioni per le quali i genitori si sentono particolarmente tranquilli e sereni a lasciare andare i loro bambini in giro da soli.
Secondo l’antropologo, ad affascinare e stupire gli occidentali in Giappone, però, non è tanto l’autonomia dei bambini e/o la fiducia dei genitori riposta nei figli, quanto piuttosto la fiducia che i genitori ripongono nella comunità intera, dove è evidente la cooperazione, pur se tacita e non richiesta.