Negli ultimi giorni il tema della scuola è tornato sulla bocca di tutti. Di questa si è parlato parecchio lo scorso anno, soprattutto in merito alla sua gestione, senza precedenti, mandata avanti a fatica durante la crisi più devastante della nostra storia recente, e che ha trovato ogni membro del settore – dagli studenti, ai professori, ai membri del ministero – totalmente impreparati, sotto qualsiasi punto di vista: tecnologico, sanitario, educativo.
Tuttavia, come la storia ci insegna, spesso i momenti di crisi creano un’opportunità, un’occasione per svecchiare i sistemi obsoleti: si è parlato per la prima volta di salute mentale di studenti e professori, di nuovi approcci didattici digitali, di riforme sostanziali a livello pedagogico nell’insegnamento. Di ciò ha discusso nel dettaglio il prof. Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, in una lettera inviata al Corriere.
In essa, il professore affronta i problemi legati al moderno modello di educazione del nostro Paese, partendo dalla condizione degli insegnanti, i quali “presentano, nel loro complesso, una grave carenza pedagogica”. Questa è dovuta in primo luogo a come vengono forgiati – termine che ricorda un ambiente industriale, seriale -, immersi nel mito della materia, dalla pura conoscenza disciplinare, dall’apprendimento ripetitivo e quantitativo, scandito solo dal passare delle ore. È chiaro che questa modalità porta inevitabilmente ad una carenza nell’applicazione della conoscenza alla sfera della realtà, ovvero: la conoscenza diventa inutile. La scuola, quella “delle crocette, dei quiz e delle risposte esatte”, pertanto, rischia di cadere in quell’insieme di nazioni a cui poco interessa del futuro e della formazione delle proprie generazioni più giovani.
Novara continua: “Investire sulla formazione professionale e pedagogica degli insegnanti è pertanto imprescindibile”. Procede poi compilando un elenco, un memorandum, di obiettivi che la nuova direzione esecutiva, si augura, possa seguire per arrivare a quel traguardo.
Al primo posto c’è l’ambiente: è necessario, infatti, che un bravo professore sia in grado di creare un ambiente piacevole per i propri studenti, in cui essi si sentano parte di una comunità attiva e accogliente.
Al secondo posto pone invece il coinvolgimento: per fare ciò è necessario che il professore si spogli della veste di “despota della lezione frontale”, ovvero organizzi le lezioni in modo che esse siano fonte di continua motivazione per gli studenti, anche con l’ausilio di dispositivi digitali, esponendo i concetti facendo leva sulla capacità critica dei ragazzi, e non sulla mera passività.
In terzo luogo, la promozione sociale fra alunni, fra insegnanti e fra alunni e insegnanti. Un insegnante deve riuscire a sfruttare le interazioni con i ragazzi come mezzo per condividere la conoscenza, e renderla più chiara e attiva.
In ultimo, la valutazione per progressi. Questo tipo di valutazione si stacca completamente dalla più classica valutazione per deficit, in cui all’allievo viene presentata la sua cronologia di fallimenti ed errori, piuttosto che il suo percorso di crescita.
Una volta integrate queste quattro nozioni nell’educazione pubblica, sostiene Novara, ci si potrà finalmente liberare delle vecchie pratiche e prassi che rendono statico, inerziale e gerarchico l’apprendimento, in favore di un modello più dinamico, collaborativo, qualitativo.
Il prof. Novara chiude chiedendo di “tagliare col passato, di dare dignità ai nostri insegnanti offrendo anzitutto una formazione professionale e pedagogica vera e propria così come condizioni economiche al pari degli altri Stati europei.”