Di seguito elencherò le caratteristiche fondamentali del Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOC):
– Il comportamento adottato da questi ragazzi è contraddistinto dalla negatività, dalla provocazione, ostilità e disobbedienza verso tutte quelle figure dotate di autorità;
– Perché si parli di “disturbo” questo atteggiamento deve persistere per almeno 6 mesi e deve prevedere l’insorgenza di almeno uno dei seguenti comportamenti: opposizione o rifiuto di rispettare le regole, compiere deliberatamente azioni che provocano fastidio agli altri, scaricare la colpa del proprio cattivo comportamento sugli altri, essere collerico,dispettoso o vendicativo;
– Questi atteggiamenti devono manifestarsi con molta più frequenza rispetto a quanto si osserva in soggetti di pari età e sviluppo e devono comportare una significativa compromissione del funzionamento sociale. Questo tipo di comportamento diventa solitamente più evidente con l’ingresso a scuola, quando aumentano le richieste di adattamento alle regole e quando ogni adulto pretende il rispetto di regole diverse;
– Il soggetto affetto dal DOP non è contento del suo modo di essere. Le opinioni che gli altri hanno di lui sono tenute in grande considerazione e per questo soffre molto. Si considera un incapace e pensa di non essere adatto per avere amici e per essere amato;
– Soffre perché si sente rifiutato dall’esterno ma, nello stesso tempo, sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento. Questo comporta un grande senso di colpa accompagnato da livelli molto bassi d’autostima. A volte si aggiungono dei Disturbi dell’Umore;
– Mettono continuamente alla prova le persone che conoscono e che gli stanno accanto, sfoderando tutto il loro repertorio di comportamenti ostili. Cercano un conferma di amore e accettazione nonostante tutte le loro provocazioni e la loro convinzione di non essere degni del vostro amore;
– Attuano in qualche modo la “profezia che si autoadempie”: pensano che chiunque gli si avvicini per amicizia ben presto cambierà idea lasciandoli da soli e quindi attuano tutti quei comportamenti che portano alla conferma di questa idea. Possiamo riscontrare alcuni “errori educativi”. Li chiamo errori perché si configurano come comportamenti da evitare in quanto possono facilitare l’insorgenza o il mantenimento di condotte oppositivo-provocatorie;
– Eccessivo permissivismo. Spesso, per calmare le sfuriate del ragazzo, si tende ad essere troppo accondiscendenti ma la mancanza di regole definite impedisce di capire quali saranno le risposte dell’adulto e le conseguenze alle sue azioni;
– Incoerenza nelle punizioni. Lasciarsi condizionare dal proprio stato d’animo lo disorienta. È necessaria chiarezza e trasparenza. Ricordiamoci inoltre che esagerare nelle punizioni non farà altro che confermare la modalità di relazione aggressiva;
– Iperprotezione. Il controllo genitoriale eccessivo ostacola la crescita del bambino. Può reagire con atteggiamenti di ribellione e sfida dell’autorità.
Dopo aver visto cosa NON fare, di seguito analizziamo le BUONE PRASSI:
- Stilare di comune accordo, e far rispettare, poche regole ma ben chiare che tutti dovranno osservare evitando, ove possibile, l’accezione negativa (es.: “camminare lentamente” invece di “non correre”);
- Preferire i rinforzi positivi ai rinforzi negativi, ossia le punizioni. A volte vengono forniti in modo corretto ma seguendo un lasso temporale causa-effetto troppo distante. Per essere efficace il rinforzo deve essere dato entro un lasso di tempo minimo;
- Erogare delle punizioni solo per comportamenti molto gravi (danno verbale o fisico agli altri). Punizioni che non dovranno mai essere in forma fisica;
- Preferire ad una punizione (punire = fare qualcosa di poco piacevole) la perdita di un privilegio (es. la lezione di nuoto, l’uscita con gli amici);
- Quando possibile, ignorare i comportamenti provocatori del bambino. In questo modo andremo a sottrarre ai suoi gesti il rinforzo derivante dal dargli attenzione. Ricordiamoci che l’attenzione è proprio l’unica cosa che vogliono e sono certi di catturare. Non dando peso ai loro comportamenti li lasceremo “spiazzati” e capiranno che non è quella la modalità più giusta per ricevere attenzioni. Se potete fornitele quando si sono calmati, in modo da rinforzare l’idea che sia quello il comportamento giusto da adoperare per essere notati positivamente;
- Instaurare una modalità comunicativa con il bambino in cui andremo a spiegare le motivazioni per cui la sua condotta viene considerata inaccettabile, suggerendo dei comportamenti alternativi che avrebbe potuto attuare in quella situazione. Ogni comunicazione deve essere il più possibile chiara e semplice. Non deve contenere giudizi sulla persona (altrimenti rischieremmo di andare ad incidere ancora più negativamente sulla sua bassa autostima). Teniamo sempre ben presente, infine, che siamo noi i modelli sui quali tutti i ragazzi plasmano il loro atteggiamento.
Pertanto, se vogliamo che adottino stili comunicativi non aggressivi, dobbiamo essere noi i primi a non cadere in tale trappola. Imparano dal nostro esempio più che dalle nostre parole.
PROPOSTE DI LETTURA SULLA TEMATICA:
Curare i disturbi d’attenzione e di comportamento dei bambini. I danni degli psicofarmaci. I benefici dei rimedi naturali e di un’alimentazione sana
Impulsività e autocontrollo. Interventi e tecniche metacognitive
L’ABC delle mie emozioni. 8-13 anni. Programma di alfabetizzazione socio-affettiva secondo il metodo REBT
l’ articolo mi e’ piaciuto molto , l’ ho consigliato ad una amica , con un figlio ch mstra il problema
Sono un’insegnante in pensione. Considero una grande opportunity i vostri articoli e spero siano divulgati al massimo.
Da che età si può parlare di questo disturbo?
Federica Ghirardo, sa cos’è la pedagogia nera? Perchè lei ne sembra intrisa. Iniziare a dire che se il bambino ha questi atteggiamenti è perchè sta chiedendo aiuto? E’ perchè sta chiedendo quell’attenzione che evidentemente gli è stata negata o è stata intermittente? Dire che se un bambino ha una scarsa stima di se qualcuno, i suoi genitori nella fattispecie, evidentemente quella stima non sono stati in grado di crearla? Quindi ancora nel 2016 la pedagogia consiglia di non “dare retta” al bambino? Cara Federica, le consiglio di leggere i libri di Alice Miller – ma tutti tutti – le saranno molto utili come pedagogista e come essere umano.
Togliere un privilegio come quello della “lezione di nuoto”, o comunque quello che fa sì che il bambino si trovi in una situazione dove potrebbe, a sua volta, relazionarsi con altre persone, educatori aiutanti in questo caso, non mi pare un buona idea.
Meglio, a mio avviso coinvolgere, l’istruttore di nuoto, piuttosto che l’allenatore di calcio, per far in modo che il bimbo cambi atteggiamento o semplicemente rifletta si quanto attuato in precedenza, magari da una figura di cui anch’egli si fida e che dia manforte all’intervento genitoriale.
Tanto più che, qualora fosse presente qualche disagio, i bambino potrebbe decidere di confidarsi con un educatore, magari se il conflitto avviene tra le mura di casa.
sono d’accordo con te. Ho un nipote di 12 anni che vive con me. Frequenta rugby e tutto farei fuorché punirlo privandolo di questa attività che gli insegna a rispettare altre regole, diverso tipo di relazione sia con gli istruttori/allenatori che compagni di squadra e non.
Articolo che contiene nozioni grossolane di psicologia cognitivo comportamentale , ma è chiaro che chi ha scritto non sa esattamente di che parliamo quindi evitiamo tecnicismi in questi casi , si rischia di creare confusione in chi cerca di informarsi !
Per approfondire esiste PDA Society in Inghilterra e trovare tutte le spiegazioni nei dettagli – su come gestire un crisi a come gestire i ragazzi etc.
Questo articolo e’ utile perché in italia il fenomeno e’ poco conosciuto quindi e@ bene che se ne parli – ma se volete aiuto riferitevi alla associazione inglese