Un duro colpo per la famiglia di Paula Burci, la ragazza di 19 anni uccisa barbaramente nel 2008 perchè non voleva prostituirsi. Nella giornata di oggi, mercoledì 12 febbraio, la Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso presentato da Sergio Benazzo, il presunto assassino della giovane. Precedentemente, la Corte di Appello aveva condannato il 44enne all’ergastolo. Su di lui, pendevano l’accusa di sfruttamento della prostituzione, omicidio e distruzione di cadavere. Ora, il terzo grado ha invece ribaltato la situazione. I giudici hanno annullato con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia la condanna all’ergastolo. In altre parole, hanno annullato la pena massima inflittagli.
Il verdetto ha lasciato sgomenti i familiari e gli amici della vittima. Il suo è stato infatti un omicidio davvero cruento. Paula, nata in Italia ma con origini romene, era tornata in Romania per restarci fino alla maggiore età. Successivamente, era ritornata sul suolo italiano, perché voleva inseguire la sua più grande passione, ovvero quella di diventare parrucchiera. Così, si era trasferita a Ferrara. Proprio qui, era stata accolta da un idraulico, Sergio Benazzo e dalla moglie di origini romene Gianina Pistroescu. All’epoca dei fatti avevano entrambi 36 anni. La coppia, però, aveva assoggettato la ragazza con la droga e la aveva introdotta in un giro di prostituzione nella zona universitaria.
Paula Burci, a un certo punto, aveva conosciuto uno studente di Ferrara della sua età e se ne era innamorata. Grazie a lui, aveva trovato il coraggio per potersi ribellare a Benazzo e Pitroescu e uscire definitivamente dal giro. Tuttavia, secondo quanto riportato nel corso della ricostruzione processuale, la coppia di sfruttatori aveva scoperto la relazione. Questo sarebbe stato il motivo che avrebbe portato all’omicidio della 19enne. Nel mese di marzo 2008, infatti, i presunti aguzzini avrebbero prima aggredito Paula con un forcone, per poi picchiarla violentemente. Infine, le avrebbero strappato i denti e la avrebbero data alle fiamme ancora viva.
Dei ragazzini che giocavano nella zona avevano trovato i suoi resti a Zocca, in provincia di Ferrara, lungo l’argine del Po. Ciò che aveva subito sconvolto gli inquirenti, oltre alla brutalità dell’atto, era il fatto che della giovane fosse rimasto un solo frammento: un’unghia smaltata. Solo mediante ciò, gli investigatori avevano potuto scoprire l’identità della vittima. Allo stesso tempo, sotto l’unghia era stato rinvenuto del materiale biologico. Le perizie avevano però evidenziato come il DNA non potesse essere attribuito a nessuno degli imputati.