Chi di voi, cari docenti non ha mai avuto a che fare con alunni che, apparentemente, non hanno voglia di studiare e si mostrano indifferenti e apatici di fronte alle attività didattiche che proponete?
Magari penserete che vi siete dannati l’anima a cercare attività coinvolgenti, per voi entusiasmanti e poi nella pratica didattica quotidiana non hanno avuto il riscontro che vi eravate prefissati di avere?
Beh, a me è capitato! E allora due sono le cose che possono capitare:
1) date la colpa a voi stessi per non essere riusciti ad attirare l’attenzione dei vostri alunni;
2) date la colpa agli alunni apatici e svogliati che vengono a scuola solo per scaldare il banco o disturbare.
È vero, spesso si tratta solo di semplice svogliatezza o mancanza di motivazione. A volte però, dietro a questi comportamenti dell’alunno si cela un vero e proprio disturbo: il DSA.
L’acronimo DSA è sempre più frequente da un po’ di anni a questa parte e sta ad indicare un Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Non si tratta di un ritardo mentale o di un deficit intellettivo, non ha proprio nulla a che vedere con essi. È specifico perché la difficoltà è legata a una specifica abilità di apprendimento. La conseguenza? Il bambino non riesce ad essere autonomo e ha bisogno di supporti che lo aiutino in quelle abilità in cui è più carente per superare le difficoltà che giornalmente incontra.
Quando un bambino si rende conto che non è capace di seguire la lezione e non riesce a conseguire gli stessi risultati dei compagni, si sente a disagio e in lui nasce una inadeguatezza che pian piano lo porta alla demotivazione che fa scaturire atteggiamenti irrequieti, spesso percepiti come disturbanti. Ecco che si entra in un pericoloso circolo vizioso dal quale il bambino non riesce ad uscire.
Qui entrate in gioco voi docenti e la vostra capacità di trovare strategie alternative che salvaguardino l’autostima del bambino e che vadano incontro alle sue specifiche capacità di apprendimento.
Certo non è un compito facile, però con tanta buona volontà riuscirete.
LEARNING BY DOING: SE FACCIO E PENSO, CAPISCO E RICORDO
Poiché il problema cognitivo di questi bambini riguarda la loro capacità di memorizzare, potete adottare strategie che portino il bambino a “vedere”, “fare” e “provare” ciò che impara. Gli studi sull’apprendimento già da tempo considerano efficace il “learning by doing”, cioè “imparare facendo”.
È una strategia di apprendimento veramente efficace, da anni utilizzata soprattutto nell’ insegnamento delle lingue straniere, la lingua si abbina all’azione e si sviluppa in modo più incisivo.
Imparare facendo, dove imparare non è solo il memorizzare, ma soprattutto il comprendere.
L’ANGOLO DELLE VOCALINE CALPESTINE
Ad inizio anno scolastico, nella mia classe, una prima elementare, erano stati inseriti 5 bambini. Già dai primi giorni di scuola mostravano atteggiamenti irrequieti e di disturbo. Ogni attività sembrava che a loro non interessasse… ed era un problema. Erano gli unici che non erano riusciti a memorizzare le vocali. Una mattina sono arrivata in classe con un sacchetto. Senza dire nulla mi sono alzata, sono andata in fondo alla classe, ho spostato banchi e sedie e ho tirato fuori dal sacchetto cinque pacchetti di nastro adesivo colorato e un paio di forbici. Tutti si sono alzati e sono venuti intorno a me incuriositi. Uno dei Cinque alunni di cui parlavo prima mi ha chiesto: “Maestra ma cosa ci fai con quelle cose?”. Gli ho risposto:”Una cosa per te, per lui…e per tutti. Adesso vediamo se riuscite ad indovinare quello che faremo adesso”.
Ho disegnato sul pavimento le vocali, non in ordine progressivo, ed ognuna con un colore diverso e poi ho chiesto: ”Secondo voi cosa faremo?”. Uno di loro, proprio il più “disturbatore” di tutti mi ha detto:”Adesso noi ci dobbiamo saltare sopra!”. “Bravo!Indovinato”.
Così uno per volta i bambini saltavano sulle vocali che io dicevo; poi a turno erano loro ad indicare le vocali ai compagni. Alla fine TUTTI avevano memorizzato le vocali e sapevano riconoscere parole che cominciavano con le vocali sentite.
L’attività è piaciuta talmente tanto che i bambini durante la ricreazione giocavano e si gestivano da soli.
Bello vederli giocare/imparare felici.
“Maestra”, uno mi ha detto, “è bellissimo.. io.. io.. ti voglio bene!”.
Parola d’ordine: inclusione!
Trovare il perno della motivazione del bambino con DSA e soprattutto scoprire le sue abilità e risorse è un passo fondamentale per evitare che si senta diverso ed emarginato.
Tenete in mente una semplice frase: learning by doing, by thinking and by loving.
Il bambino ricorderà con più facilità ciò che amerà fare.
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Fantastico.e con i numeri
Sono entusiasta dei suggerimenti e dei consigli di lettura. Anch’io ho in classe alcuni bambini problematici. Grazie!
Complimenti davvero. Articolo molto interessante. L’idea delle vocali calpestine mi piace molto e il fatto di avere creato un angolo in classe per potere fare esercitare gli alunni quando ne sentono la voglia lo rende ancora più efficace. Un plauso ancora a questa insegnante e alla metodologia che usa.
Ma non è chiaro, questi bambino hanno o non hanno un problema cognitivo?
Sono bambini problematici? : (
L’articolo è molto interessante e l’attività proposta ancora di più, sucuramente da prendere come esempio ma attenzione a parlare di veri e propri Dsa, io parlerei invece di semplice difficoltà. I DSA devono essere certificati da personale qualificato per diagnosticare la problematica e non tutti sono veri e propri DSA.
Sicuramente i dsa vanno certificati, col fine di essere compreso meglio nel loro funzionamento, non certo per essere solo etichettati. Io lavoro tutti i giorni con ragazzi con dsa e penso che il “learning by doing” e soprattutto l’inclusione siano tra i metodi megliori. Una casa editrice ha inventato l’anno scorso un nuovo font inclusivo, che facilita i dislessici nella lettura ma è utilizzabile da tutti. Credo la parola inclusione sia in realtà l’unica strada per rispondere ai bisogni emotivi e non solo cognitivi dei dsa!
Un bambino non ha bisogno di essere etichettato per essere aiutato. Aprire le porte alla medicalizzazione non è la via d’uscita. Il Dsa non è una malattia. Se io fossi un bambino e la maestra mi trattasse come un malato mi sentirei molto male. Per me non è la cosa corretta. Se a un bambino venisse spiegato veramente l’importanza dello studio e lui lo capisse, andrebbe a scuola volentieri e imparerebbe velocemente.
Farò tesoro di ciò che ho letto, un ottimo consiglio come si dice( gli esami non finiscono mai ) grazie mille
Complimenti, il gioco è da sempre un veicolo di apprendimento, apertura, “addolcimento” delle difese e, non ultimo per importanza, di inclusione