Uno dei punti fondanti del programma elettorale del governo, in particolare della Lega di Salvini, è il taglio delle accise sulla benzina. Lo stesso Salvini ha confermato che “entro l’anno” arriverà il taglio, mentre il sottosegretario all’Economia Massimo Bitonci ieri ha dichiarato che una proposta di legge per una prima sforbiciata, ancora da quantificare, ci sarà già in settimana.
In particolare la Lega ha promesso l’eliminazione delle accise più vecchie, cioè quelle che paghiamo per la guerra in Etiopia, per la crisi di Suez o per il disastro del Vajont, che risalgono a parecchi decenni fa. Da qualche anno, in realtà, le accise non vengono più pagate per motivazioni specifiche ma sono diventate una specie di imposta unica e indifferenziata. L’accisa è una imposta indiretta sulla fabbricazione o sulla vendita di alcune specifiche categorie di prodotti. E’ quindi una forma indiretta di tassazione.
In Italia si paga su prodotti di vario genere: oltre ai carburanti, anche il tabacco, gli alcolici, il carbone, il gas. A pagare le accise sono i consumatori di quel determinato bene, in proporzione alla quantità acquistata. E quelle sui prodotti energetici sono la quarta più ingente voce tra le entrate tributarie dello Stato, dietro a Irpef, Iva e Ires.
Dal 1995 non si pagano più per voci specifiche, come quando sono state introdotte, ma è una voce unica di entrata per lo Stato e dal 2013 è stata inserita come misura strutturale dalla legge di stabilità di quell’anno. Le accise sui carburanti nel 2017 hanno portato allo Stato incassi per 25,7 miliardi di euro. Una cifra che diminuirebbe drasticamente in caso di tagli e andrebbe quindi recuperata in qualche altro modo nel bilancio statale.
Dal gennaio del 2013 le accise sui carburanti non hanno subìto variazioni. Si pagano 0,728 euro al litro sulla benzina, 0,61 sul gasolio, 0,14 per il gpl e 0,40 per il gasolio da riscaldamento. In questo modo, quindi, sulla benzina le accise gravano quasi per la metà del prezzo per il consumatore. Alle accise, inoltre, si aggiunge anche il 22% di Iva: sulla benzina vuol dire quasi 30 centesimi in più.
Come detto, nel 1995 il governo Dini ha introdotto il Testo unico delle accise. Tutte le voci specifiche furono abolite, annullando le vecchie imposte di fabbricazione per finanziare le guerre e le ricostruzioni. Venne in pratica creato un unico capitolo di spesa generale che finisce per intero nel bilancio dello Stato.
Negli anni le accise sono aumentate soprattutto per far fronte al finanziamento di alcune guerre, come quella in Bosnia o in Libano, o alla ricostruzione di luoghi colpiti da catastrofi naturali. Quindi, l’aumento si è dovuto a situazioni di emergenza. Ora non è più così, poiché le accise sono state stabilizzate e non più legate a singoli eventi. Se ci sarà un taglio, quindi, il problema è che lo Stato dovrà recuperare altrove quei soldi che fanno quadrare il bilancio. Inoltre, bisogna annullare le clausole di salvaguardia: per evitare l’aumento di Iva e accise è necessario trovare 12,5 miliardi di euro.
Stando alle indicazioni fornite dall’Ue le accise, comunque, non si possono abolire completamente. L’Unione europea pretende che ogni stato membro preveda un’accisa minima sul carburante per scoraggiare l’uso delle auto. Ma si tratta di una cifra minore di quella prevista in Italia: 0,359 euro sulla benzina, 0,33 sul diesel e 0,125 sul gpl. Oggi le accise vengono pagate non su voci specifiche ma su un unico capitolo generico, ma quando sono state introdotte le accise servivano per coprire effettivamente le spese relative a specifiche operazioni.
Si parte dalla più antica, la guerra in Etiopia del 1935, per poi passare anche ad altre azioni militari come quella in Bosnia (1996), in Libano (1983), la crisi del canale di Suez (1956). Ci sono poi stati eventi drammatici come l’alluvione di Firenze del 1966, il disastro del Vajont del 1963, i terremoti di Irpinia (1980), Friuli (1976) e Belice (1968). Più recentemente, dopo il 2000, sono state introdotte quelle per l’acquisto di bus ecologici, quelle per il terremoto de L’Aquila, quelle per l’alluvione in Liguria e Toscana del 2011 o per il terremoto dell’Emilia del 2012.
Come abbiamo detto tutte queste singole voci oggi non esistono più e quindi non è propriamente corretto dire che con le accise sui carburanti paghiamo ancora la guerra in Etiopia o la ricostruzione post-terremoto in Irpinia. Dal 2015 ad oggi le accise non sono aumentate. Se controlliamo la tabella pubblicata sul sito del ministero dello Sviluppo economico vediamo che le accise incidono per 728,40 ogni mille litri.
L’aumento dal 1996 a oggi è invece notevole: prima erano 527,80 per mille litri, oggi parliamo di circa 200 euro in più. La crescita è stata costante, ad eccezione di pochi anni, come il 2015 quando si è scesi da 730,41 euro agli attuali 728. In quel caso, però, era aumentato il prezzo al consumo e di conseguenza le accise. L’aumento più consistente è stato invece registrato tra il 2011 e il 2012, ma anche in quel caso a causa del maggiore prezzo al consumo. Da gennaio a oggi il prezzo della benzina in Italia è aumentato di poco. Per fare un esempio, la benzina senza piombo a gennaio costava 1.568 euro ogni mille litri, mentre a luglio il costo è diventato di 1.630 euro ogni mille litri. C’è stato un aumento di circa il 4%, che deriva da un aumento del prezzo industriale e conseguentemente dell’Iva. Le accise, però, non sono aumentate. Il costo delle accise sui carburanti in Italia è tra i più alti in Europa, inferiore solo a Islanda, Norvegia e Paesi Bassi, mentre in Germania e la Spagna si arriva a pagare tra i 20 e i 30 centesimi in meno al litro.