Maurizio Lazzarini, 59 anni dirigente scolastico del liceo Fermi di Bologna , è mancato questa estate dopo una lunga malattia.
Lo piangono migliaia di suoi studenti e non, anche attraverso i social e sul web della scuola. Il dirigente del decalogo alla rovescia per allievi e genitori. Sulla porta del suo studio la scritta: “I care”. Insegnante elementare prima, poi direttore didattico, infine dirigente.
Si occupava di ogni suo studente, dialogando con loro sia di persona che sui social. Al suo insediamento aveva dato a tutti il suo cellulare (“ragazzi, se avete bisogno mandatemi un sms”). Ad ogni studente regalava la Costituzione il primo giorno di scuola; li radunava nella palestra quando arrivavano in quinta. Quest’anno ha salutato i maturandi di giugno, con una poesia di Kavafis: “Non sciuparla la vita, fino a farne una stucchevole estranea”.
La scomparsa di Maurizio Lazzarini, preside da otto anni ha destato una reazione sorprendente in una scuola abituata ormai al conflitto tra studenti e professori, tra professori, genitori e presidi, assuefatta al tutti contro tutti. Ai suoi funerali, i suoi studenti porteranno lo striscione col suo motto “Voi non siete al Fermi, ma il Fermi”, ovvero una comunità. Famosi i suoi decaloghi alla rovescia. A settembre dell’anno scorso aveva dedicato l’ironico decalogo ai suoi studenti: “Cari ragazzi, considerate sempre i vostri docenti come nemici, copiate, evitate di fare i compiti a casa, tanto fior di pedagogisti vi dicono che sono inutili”, con l’avvertenza: “se lo seguirete non farete fallire la scuola, fallirete voi”.
L’anno prima aveva scritto ai genitori: dieci mosse per far fallire la scuola. Usava l’ironia e la sua cultura per smontare luoghi comuni e sostenere controcorrente che “al dialogo non c’è alternativa, che non c’è divario tra vita e formazione”. Un combattente, un pedagogista rivoluzionario, colto e appassionato: lo ricordano cosi gli insegnanti “La scuola può essere priva di materiali innovativi, di strumenti tecnologici e sì, anche di nuove porte e banchi integri ma per te, ed ora per tutti noi, non può non possedere un’impronta educativa comune, un’identità ben definita”, scrive Lucia Santini.
Bruna Di Fonzo aggiunge: “Mi diceva: chiediti sempre quando lasci una classe se sei stata davvero con loro e hai vissuto con loro e se la risposta è sì, allora sei stata il miglior insegnante che potessero avere in quel momento”. E ancora: “Un preside che interrompe quello che sta facendo ti guarda negli occhi e poi ti ascolta subito perchè capisce al volo che non poteva dirti …’dammi dieci minuti e sarò da Lei’…è un grande maestro“.
Paola Poluzzi rimpiange “il suo anticonformismo e la capacità di usare il ‘pensiero laterale’ quasi quotidianamente”. “Quante volte mi hai detto che il sistema e la burocrazia non dovevano essere un alibi per noi insegnanti/educatori e per voi dirigenti“, le parole di Liviana Sgarzi.
Il suo punto fermo era formare cittadini. I suoi studenti ed ex, ora gli dedicano canzoni via social, poesie – quelle che lui amava e che lasciava sui loro banchi nei messaggi di inizio d’anno, per la festa dell’8 marzo. Scrive una studentessa: “Non mi scorderò mai che al suo: ‘Tu hai i numeri per questa scuola, solo che ancora non lo sai’, gli risposi: “Per giocare al Lotto?” e lui scoppiò a ridere dicendomi che il sarcasmo è un chiaro esempio di intelligenza“.
Una valanga di stima e di affetto, di dolore e ricordi, si è scatenata con la sua morte. Anche di non rassegnazione, come il ragazzo che scrive: «Preside non doveva andarsene ora, non l’avevo ancora ringraziata a dovere». Lo fa adesso: «Mi pensavo obbligato a percorrere una strada che mi avrebbe distrutto, grazie a lei ho preso la prima uscita che ho visto». Aveva messo in pratica la scuola di don Milani, quella del “non uno di meno”, dell’accoglienza, dell’impegno civile da servitore dello Stato quale si considerava.