Serena Costa, psicologa infantile e autrice della guida “Tutti insieme contro il bullismo” ha delineato quali siano i campanelli d’allarme che identifichino il proprio figlio come bullo: “Se è un bambino prepotente, che deve per forza avere ragione e ottenere tutto ciò che vuole e se è preda di crisi di rabbia e non accetta i limiti, utilizzando l’aggressività o la forza fisica per farsi valere ci sono buone possibilità che il bambino sia predisposto a praticare atti di bullismo”.
Anche se la descrizione fornita sembra essere piuttosto chiara, spesso risulta difficile identificare questi comportamenti nel figlio. La psicologa quindi dice: “Spesso i bulli non vogliono farlo sapere ai genitori e, per questo, a casa si comportano in tutt’altro modo rispetto a quello che fanno con i pari. Per questo è importante per i genitori mantenere un filo diretto e costante con il mondo esterno: dagli insegnanti di scuola agli educatori delle società sportive”. Questo quindi fa capire quanto sia importante un’ottima comunicazione tra i genitori e gli educatori.
I bulli, principalmente, non sono tutti uguali: alcuni ripetono delle strategie dominanti apprese in ambito famigliare mentre altri invece imitano gli atti di bullismo che hanno subito in passato, trasformandosi da vittima ad aguzzino.
Anche i modi di agire si differenziano e non sono sempre uguali. Alcuni bulli più dominanti sfruttano la propria intelligenza per ottenere un tornaconto personale senza provare empatia con le vittime che bullizza. Altri invece preferiscono fare gruppo per ricercare la propria identità essendo più insicuro, la conseguenza quindi è che combatte con la forza le sue fragilità.
Accorgersi autonomamente se il proprio figlio sia un bullo non è sempre semplice e, ovviamente, non è facile da accettare. Ma nel momento in cui la situazione diviene cristallina, ci sono alcune cose da fare per porvi rimedio.
Per prima cosa è necessario farsi aiutare dagli adulti di riferimento nei luoghi che frequenta il proprio figlio, questi possono essere gli insegnanti della scuola che frequenta oppure gli allenatori nei contesti sportivi frequentati dal proprio figlio.
Anche se risulta difficile, è bene assumere un atteggiamento collaborativo con gli altri adulti senza mettersi sulla difensiva. Spesso infatti si tende a difendere il proprio figlio ma, in questo modo, non comprendono che devono assumersi le proprie responsabilità.
Questo però non significa che bisogna attaccare i propri figli anzi, un dialogo aperto con loro può aiutare a capire il malessere che si cela dietro agli atti di bullismo che praticano. In questo modo quindi si può intraprendere un ragionamento che riguarda gli effetti del loro comportamento lesivo nei confronti del prossimo.
Se la situazione diventa insostenibile ed eccessivamente complicata è sempre bene rivolgersi a dei professionisti in modo tale da ripristinare la situazione e rendere di nuovo il figlio gestibile.
La psicologa spiega i motivi che si celano dietro la nascita di un figlio-bullo: “Se tra i genitori c’è un tipo di comunicazione fatta di violenza e di forza, è probabile che possa creare le condizioni perché i figli diventino dei bulli”.
Dunque prosegue: “Tuttavia, la motivazione che porta un ragazzo a diventare un bullo non è mai unica. Anche genitori troppo autoritari o troppo lassisti sono nocivi. Nel primo caso, i bambini potrebbero replicare l’atteggiamento dei genitori che non danno spazio alla comunicazione e che fanno prevalere sempre la loro volontà genitoriale, senza alcuna attenzione al vissuto del piccolo. Ma anche uno stile troppo permissivo è scorretto, perché può stimolare un senso di onnipotenza nei bambini, senza limiti, e questo si ripercuote negativamente nelle loro relazioni”.
Un altro fattore scatenante comunque può essere rappresentato dal sistema scolastico che si è fatto eccessivamente competitivo e questo può portare ad un sistema comportamentale basato sulla prepotenza. Infine può essere preso in considerazione anche il fattore individuale, per cui i ragazzi si comportano da bulli per mancanza di empatia e quindi non riescono a percepire la sofferenza delle loro vittime.